Madre uccide il figlio di 9 anni con una coltellata alla gola

di Redazione

Da troppo tempo la donna non rispondeva al telefono né apriva la porta. Quando gli agenti della Squadra mobile, con il supporto dei Vigili del fuoco, riescono a entrare, la scena che trovano dentro un appartamento di piazza Marconi a Muggia è di quelle che marchiano per sempre una comunità: il corpo di un bambino di nove anni, senza vita, con ferite da arma da taglio al collo. La madre, una 55enne di origine ucraina, è in stato di choc, con tagli superficiali alle braccia. Per il piccolo non c’è più nulla da fare.

La chiamata del padre – A far scattare l’allarme è stato il padre del bambino, 58 anni, che non vive con la donna e non riusciva a contattare né lei né il figlio, che avrebbe dovuto riconsegnargli alle ore 21. Dopo ripetuti tentativi, l’uomo chiede aiuto alla polizia. Quando gli agenti arrivano in zona, i vigili del fuoco aprono un accesso da una finestra: il corpo è in bagno, lì da diverse ore secondo i primi rilievi.

La ricostruzione degli investigatori – Gli accertamenti della Squadra mobile, insieme ai rilievi della Scientifica, delineano un quadro che porta a una sola direzione: la responsabilità dell’omicidio viene attribuita alla madre. Secondo quanto emerso, avrebbe utilizzato un coltello da cucina per colpire il figlio alla gola e, in seguito, avrebbe tentato un gesto autolesionista. È stata fermata su disposizione dell’autorità giudiziaria. Dopo le prime cure, sarà trasferita nella casa circondariale di Trieste.

Una famiglia seguita da tempo – La situazione familiare era complessa e monitorata. La donna era in carico al Centro di salute mentale, mentre la famiglia era seguita dai servizi sociali del Comune di Muggia. Nonostante ciò, nessun elemento recente aveva fatto immaginare un epilogo simile. Il bambino frequentava il quarto anno della scuola elementare slovena di Muggia ed era affidato al padre, ma incontrava la madre secondo quanto previsto dal tribunale.

Il sindaco: “Situazione difficile ma non drammatica” – Nelle prossime ore la comunità si riunirà per una veglia, mentre la scuola del bambino viene affiancata dai servizi sociali per sostenere compagni e insegnanti travolti da quanto accaduto. Il sindaco Paolo Polidori prova a spiegare lo sconcerto della città: «La situazione era seguita da quando è nato il bambino, era una situazione difficile ma non un dramma». Il primo cittadino ha proclamato il lutto cittadino: «La città si stringe intorno alla famiglia, a mezzogiorno abbiamo organizzato un picchetto con la Polizia Locale con un minuto di raccoglimento, per dimostrare la più forte solidarietà al padre, ai compagni di classe e della squadra di calcio». Ha poi aggiunto: «Vorrei sottolineare che la situazione era seguita da anni sia dagli assistenti sociali sia dal tribunale, ma non ci sono mai stati dei segnali di tragicità, era una questione di separazione. Rimaniamo in contatto costante con la Questura».

Il parroco: “La parola della vicenda è fragilità” – Il parroco Andrea Destradi conosceva la famiglia da tempo e non nasconde l’amarezza: «Conosco la famiglia, molto complicata, i genitori sono separati da anni; vedevo il piccolo sempre con il papà più che con la mamma. C’è una parola che caratterizza questa situazione, ed è fragilità; una fragilità che forse sfuggiva alle capacità della nostra comunità. Registro sempre anche pudore a mettere in mostra la propria fragilità». Il sacerdote racconta di aver visto il padre del bambino «ieri verso le 21.30 in piazza Marconi», mentre cercava di mettersi in contatto con la donna. Ricorda anche l’ultima volta in cui ha visto il bambino, «sabato sera a messa, perché si stava preparando per la prima Comunione». A proposito della madre, aggiunge: «Ero consapevole che lei aveva bisogno di un aiuto. È venuta da me più volte in questi ultimi anni a chiedermi una mano per trovare un lavoro, ma di lavori ne aveva cambiati tanti perché non riusciva a mantenerne uno. Mi rendevo conto benissimo che non era quello il tipo di aiuto di cui lei aveva bisogno. Aveva bisogno di un aiuto più professionale, che trascende le mie possibilità. Le dicevo “fatti aiutare dai medici”, ma lei era convinta di non averne bisogno».

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