Si è spenta nella sua casa di Milano a 91 anni Ornella Vanoni, interprete simbolo della canzone italiana. Un malore l’ha portata via lasciando un vuoto che non riguarda solo la musica: era ironia, teatro, cultura popolare, eleganza senza accettare mai le convenzioni. Dal 1956 fino ai giorni nostri, aveva attraversato generazioni, stili, epoche, con una naturalezza che l’ha resa un’icona unica.
Una carriera fuori dagli schemi – Figlia della borghesia milanese, a 19 anni entrò all’Accademia del Piccolo Teatro e divenne l’allieva prediletta – e compagna – del regista Giorgio Strehler. Nasce così la prima metamorfosi: non cantante ma attrice. Il teatro la forgia, ma saranno Le canzoni della mala a consegnarla al pubblico come interprete graffiante e anticonvenzionale. Con Dario Fo, Fausto Amodei, Fiorenzo Carpi e Gino Negri, prende forma un repertorio destinato alla storia.
La rivoluzione della musica italiana – Dopo il sodalizio con Strehler, arriva l’incontro con Gino Paoli, una relazione sentimentale tormentata e un’intesa artistica irripetibile. Nascono brani che segnano un’epoca: Senza fine, Che cosa c’è, Cercami. Vanoni diventa interprete moderna, sensuale, sofisticata, capace di trasformare una canzone in racconto. Partecipa a otto Festival di Sanremo, sfiorando più volte la vittoria, ma senza mai inseguirla: l’arte prima del trofeo.
Dalla mala alla bossa nova – Nel 1976 crea con Toquinho e Vinícius de Moraes La voglia, la pazzia, l’incoscienza, l’allegria, un album entrato tra i 100 più belli della musica italiana secondo “Rolling Stone”. È il punto d’incontro tra la sua eleganza vocale e la musica brasiliana, una passione destinata a diventare identità. Seguiranno collaborazioni con Lucio Dalla, Paolo Conte, Gerry Mulligan, Vinicius de Moraes, George Benson, Herbie Hancock, Fabrizio De André, Ivano Fossati, Mogol, Renato Zero, Riccardo Cocciante.
Il coraggio dell’autoproduzione – A cavallo tra anni ’70 e ’80, fonda una propria etichetta, intuendo con anticipo i tempi dell’autonomia artistica. Scrive testi, costruisce concept album, firma dischi destinati a segnare un capitolo importante della musica d’autore. È la prima donna a vincere il Premio Tenco come cantautrice. Oltre 100 progetti tra album, EP e raccolte, più di 55 milioni di dischi venduti: numeri giganteschi, ma insufficienti a raccontare la sua impronta culturale.
Un mito popolare senza maschere – Negli anni Duemila celebra i suoi 50 anni di carriera con un concerto in piazza Duomo a Milano davanti a 35mila persone. Ritorna nelle classifiche con L’appuntamento grazie a Ocean’s Twelve. Duetta con artisti di generazioni diverse, da Mario Biondi a Pacifico. Nel 2018, a 83 anni, emoziona Sanremo con Imparare ad amarsi, ottenendo il Premio della Critica per l’interpretazione. Diventa presenza fissa di Che tempo che fa, simbolo di ironia, libertà, personalità refrattaria al “politicamente corretto”.
Per il suo novantesimo compleanno aveva inciso Ti voglio con Elodie e Ditonellapiaga, segnando un ponte definitivo tra epoche. Aveva poi pubblicato Diverse e, con Pacifico, il progetto Vincente o perdente, diario sentimentale di una vita senza compromessi.
“Capirò quando sarà il momento” – Non temeva la fine. Una frase, più volte ripetuta in vita, oggi assume il peso dell’eredità:
“Non ho paura della morte. Capirò quando sarà il momento di andarmene, quando sarò inutile alla vita e la vita sarà inutile a me.”
La sua voce, inconfondibile, rimarrà nella memoria collettiva come un romanzo musicale lungo settant’anni. Non un mito distante, ma una presenza viva, ironica, disobbediente, capace di raccontare il tempo senza appartenergli.
La signora della canzone italiana se n’è andata così: senza rumore, ma lasciando un’eco che non si spegnerà.

