Stop al Reddito di Cittadinanza: da gennaio 2024 arriva l’Assegno di Inclusione

di Redazione

Il Reddito di cittadinanza scomparirà a fine 2023. A partire da gennaio 2024 sarà introdotto l’Assegno di Inclusione di cui potranno beneficiare nuclei familiari con disabili, minorenni od over 60. L’ammontare dell’assegno potrà arrivare fino a 6mila euro all’anno (500 euro al mese), a cui aggiungere un contributo affitto per locazioni regolari fino a 3.360 euro all’anno, pari a 280 euro mensili. – continua sotto –

Aumenti per “All Over 67” – Una novità, però, arriva con il nuovo Dl Lavoro. Nell’ultima bozza del decreto il contributo sale a 7.560 euro all’anno, 630 euro al mese (moltiplicati per i parametri della scala di equivalenza), se il nucleo familiare è composto da tutti over 67, o da persone di età pari o superiore a 67 anni e da altri familiari tutti in condizioni di disabilità grave o di non autosufficienza, cui aggiungere i 280 euro mensili per l’affitto.

Validità – L’assegno verrà erogato per diciotto mesi e potrà essere rinnovato, previa sospensione di un mese, per periodi ulteriori di dodici mesi. Per avere il beneficio si dovrà iscriversi al sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa (Siisl). Previsti inoltre incentivi: ai datori di lavoro privati che assumono i beneficiari dell’Assegno di inclusione con contratto a tempo indeterminato o di apprendistato, sarà riconosciuto, per dodici mesi, l’esonero del 100% dei contributi previdenziali, nel limite di 8mila euro.

Isee – Il beneficiario non deve avere un valore dell’Isee, in corso di validità, superiore a 9.360 euro (sembra sfumare la stretta a 7.200 euro che si era valutata), valore che è rimodulato nel caso di nuclei familiari con minorenni. La scala di equivalenza viene resa più generosa per i disabili, meno per i minori (che però hanno l’assegno unico), ma dà un peso nullo ai figli maggiorenni. Inoltre il valore del reddito familiare deve essere inferiore ad una soglia di 6.000 euro annui moltiplicata per il corrispondente parametro della scala di equivalenza (presenza di figli minori, componenti con disabilità o non autosufficienti, etc.). Nel reddito familiare sono peraltro incluse le pensioni dirette e indirette, in corso di godimento da parte dei componenti del nucleo familiare. Nel calcolo del reddito familiare, invece, non si computa quanto percepito a titolo di Assegno di inclusione, di Reddito di Cittadinanza o di altre misure nazionali o regionali di contrasto alla povertà. – continua sotto –

Limiti patrimoniali – Il richiedente non deve avere un valore del patrimonio immobiliare superiore a 30 mila euro, come definito ai fini Isee, se diverso dalla casa di abitazione di valore ai fini Imu non superiore a 150.000 euro. Invece il patrimonio mobiliare non deve superiore a una soglia di 6.000 euro, accresciuta di euro 2.000 per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino a un massimo di 10.000 euro, incrementato di ulteriori 1.000 euro per ogni minorenne successivo al secondo. Ma questi massimali sono ulteriormente incrementati per ogni componente in condizione di disabilità o di non autosufficienza. Quanto ai beni di cui il nucleo dispone nessun componente deve essere intestatario a qualunque titolo o avere piena disponibilità di autoveicoli di cilindrata superiore a 1600 cc. o motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc., immatricolati la prima volta nei trentasei mesi antecedenti la richiesta, esclusi gli autoveicoli e i motoveicoli per cui è prevista una agevolazione fiscale in favore delle persone con disabilità. Inoltre nessun componente deve essere intestatario di navi e imbarcazioni da diporto o di aeromobili di ogni genere.

Niente condanne e dimissioni – Chi richiede l’Assegno di inclusione, inoltre non deve essere stato nei dieci anni precedenti sottoposto a misura cautelare personale, a misura di prevenzione, o a condanne definitive. Non ha neppure diritto all’Assegno di inclusione il nucleo familiare in cui un componente risulta disoccupato a seguito di dimissioni volontarie, nei dodici mesi successivi alla data delle dimissioni, fatte salve le dimissioni per giusta causa nonché di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.

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