Oscar 2022, vince “C.O.D.A.”, Italia a mani vuote. Will Smith schiaffeggia Chris Rock

di Gaetano Bencivenga

La 94esima “Notte delle Stelle” è andata in archivio con un verdetto, per molti, scontato, che ha, però, teso maggiormente ad accontentare tutti i candidati favoriti della vigilia. Il pepe, mancato nell’annunciare i vincitori, lo ha, senza dubbio, messo il buon Will Smith, Oscar pronosticato e, poi, confermato per l’attore protagonista del biopic “Una famiglia vincente-King Richard” di Reinaldo Marcus Green, che all’ormai nota battutaccia del comico Chris Rock, uno dei presentatori della serata, sull’alopecia della moglie Jada Pinckett, ha reagito mollando un preciso gancio sul viso dell’incredulo, e quasi sorridente, contendente. Salvo chiedere, in seguito, umilmente scusa una volta chiamato sul podio di un vincitore in lacrime per il gesto violento, giustificandolo con il ritornello solito che “al cuor non si comanda”. – continua sotto – 

Che si sia trattato di una gag, più o meno, organizzata non ci sarà mai dato sapere, sta di fatto che il “fattaccio” ha distolto l’attenzione da una “mancanza” ingiustificabile, ovvero la presenza in collegamento del presidente ucraino Zelensky, richiesta da più parti e, di fatto, negata per seguire il rigido protocollo del “politically correct”. Ad ogni modo, la statuetta di Smith passerà agli annali, non solo, per lo “schiaffone in stile hollywoodiano”, ma, anche, perché si è trattato, in quasi cento anni di storia, soltanto della quarta volta di un afroamericano insignito di un Oscar all’attore protagonista.

Ben più tranquille sono state, invece, le consegne dei rimanenti Academy Award. A cominciare dal premio al miglior film andato all’ecumenico “C.O.D.A. – I segni del cuore” diretto dalla cineasta Sian Heder, remake, a stelle e strisce, del transalpino “La famiglia Belier”, tenera storia delle aspirazioni artistiche di un’adolescente nata in una famiglia di sordomuti. La pellicola ha meritato altri due trofei per la sceneggiatura adattata della medesima Heder e l’attore non protagonista, il realmente sordomuto Troy Koster. Il trionfo si è inserito all’interno di una tendenza, già in voga nella passata edizione, di dare il giusto risalto a un cinema prettamente al femminile, che ha incoronato l’australiana Jane Campion, giunta al secondo Oscar personale dopo quello alla sceneggiatura di “Lezioni di piano” risalente a 28 anni fa, miglior regista della kermesse per il western crepuscolare “Il potere del cane”.

Miglior attrice protagonista, finalmente diremmo, la poliedrica Jessica Chastain, perfetta incarnazione, grazie anche a un trucco e parrucco da Oscar, ne “Gli occhi di Tammy Faye”, di Michael Showalter, della famosa telepredicatrice statunitense citata nel titolo, impeccabile e impegnata, anche, nel suo discorso di ringraziamento focalizzato sull’unicità dell’essere umano. Attesissimo il premio alla non protagonista Arianna DeBose, grandiosa Anita nel riuscito remake ad opera di Steven Spielberg del cult “West Side Story”, insignita dell’Academy a 60 anni esatti, nella medesima categoria e per il medesimo ruolo, da Rita Moreno, presente, tra l’altro, in un cameo nel lungometraggio spielberghiano. – continua sotto – 

Last but not least, gli Oscar a “Belfast” di Kennet Branagh (sceneggiatura originale), “007-No Time to Die” di Carey Fukunaga (canzone originale), al cartoon “Encanto” di Howard & Bush, e a “Dune” (ben sei, tutti tecnici) di Dennis Villeneuve. Resta l’insoddisfacente capitolo del cinema nostrano, chiuso con un nulla di fatto nonostante le tre candidature iniziali, tra le quali spicca, senza dubbio, la sconfitta di “E’ stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino, superato, anche in questo caso con un verdetto scontato, dal giapponese “Drive my car” di Ryusuke Hamaguchi, uno dei titoli pigliatutto dell’attuale Award Season.

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