Mafia dietro giochi e scommesse sportive: sequestri tra Palermo, Roma e Salerno

di Redazione

Su delega della Procura Antimafia di Palermo, coordinata dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca, i finanzieri del comando provinciale del capoluogo siciliano hanno dato esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo nei confronti di 4 indagati, a vario titolo, per partecipazione e concorso esterno nell’associazione di stampo mafioso “Cosa nostra” e trasferimento fraudolento di valori aggravato dalla finalità di aver favorito le articolazioni mafiose cittadine. – continua sotto – 

Il provvedimento comprende: 3 immobili, tra i quali una villa di particolare pregio ubicata nell’isola di Favignana; imprese e quote di capitale di 10 società, con sede nelle province di Roma, Salerno e Palermo, tra le quali un noto ristorante nel capoluogo siciliano; autoveicoli e motocicli. I sequestri patrimoniali costituiscono il completamento dell’operazione “All In” con la quale gli specialisti antimafia del Gico del Nucleo di Polizia Economico – Finanziaria di Palermo – in esito a una articolata attività investigativa – hanno accertato gravi elementi circa l’infiltrazione di “Cosa Nostra” nel lucroso settore economico della gestione dei giochi e delle scommesse sportive. – continua sotto – 

In particolare, i gravi elementi a carico delineavano un’organizzazione criminale che, grazie all’abilità imprenditoriale di alcuni indagati e ai benefici derivanti da accordi “di reciproco vantaggio” costituiti, negli anni, con i principali mandamenti mafiosi palermitani, aveva acquisito la disponibilità di un numero sempre maggiore di licenze e concessioni per l’esercizio della raccolta delle scommesse, fino alla creazione di un “impero economico” costituito da imprese – giunte nel tempo a gestire volumi di gioco per circa 100 milioni di euro – formalmente intestate a “prestanome” compiacenti ma, di fatto, secondo i gravi elementi a carico già menzionati, facenti capo alle figure centrali della famiglia mafiosa di Palermo Centro, e di un imprenditore che ha messo a disposizione dei clan la propria abilità imprenditoriale al fine di riciclare denaro di origine illecita e, al contempo, di esercitare un concreto potere di gestione e imposizione sulla rete di raccolta delle scommesse. – continua sotto – 

Le risultanze dell’articolata attività di indagine condotta dal Nucleo di Polizia Economico – Finanziaria di Palermo hanno consentito: di eseguire nel giugno 2020, a conclusione di un primo filone investigativo, un’ordinanza con cui il gip del Tribunale di Palermo disponeva: misure cautelari personali nei confronti di 10 soggetti; il sequestro preventivo di 8 “imprese mafiose” che avevano nel tempo acquisito/detenuto le concessioni statali rilasciate dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per la raccolta di giochi e scommesse sportive; nel novembre 2020, a conclusione di un secondo filone investigativo (operazione “All In – Si Gioca”), di disarticolare due distinte associazioni a delinquere, parallele ma entrambe facenti capo ad un imprenditore colluso, che gestivano la raccolta illegale delle scommesse, attraverso l’utilizzo delle “piattaforme .com”, fuori dalla concessione statale, ed erano in grado di generare volumi di giocate di almeno 2,5 milioni di euro al mese, come desumibile da alcune intercettazioni telefoniche. In tale contesto, si procedeva ad eseguire un’altra ordinanza del Gip di Palermo che ha disposto: misure cautelari personali nei confronti di 15 soggetti, a vario titolo indagati per associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata e all’esercizio abusivo dell’attività di giochi e scommesse; il sequestro preventivo di sei corner/agenzie scommesse, in Sicilia e Campania. – continua sotto – 

L’operazione scaturisce da una sistematica attività di approfondimento economico-finanziario svolta dai finanzieri del Gico di Palermo, in stretta collaborazione con la locale Direzione distrettuale antimafia, che hanno proceduto a valorizzare in chiave patrimoniale gli elementi acquisiti nel corso delle indagini, attraverso l’esame, il confronto e l’incrocio di informazioni estratte dalle diverse banche dati in uso alla Guardia di Finanza, accertando l’assoluta sproporzione tra i beni nella disponibilità degli indagati, ulteriori rispetto a quelli già sequestrati lo scorso anno, e la loro capacità economica, circostanza che – unitamente alle altre evidenze investigative – ha portato il Tribunale a ritenere il patrimonio ricostruito quale frutto delle attività illecite o reimpiego dei relativi proventi. – continua sotto – 

Nello specifico, gli accertamenti – condotti anche con il noto applicativo “Molecola” in dotazione ai Reparti investigativi della Guardia di Finanza – hanno portato a dimostrare che gli indagati e i rispettivi nuclei familiari, nell’ultimo decennio, non avevano dichiarato redditi leciti o altre forme di finanziamento capaci di “giustificare” le spese e gli acquisti nel tempo sostenuti. IN ALTO IL VIDEO

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