Terra di Lavoro e le grandi firme degli architetti Mangiarotti, Vittoria e Gho’ nell’area industriale degli anni 60-70

di Redazione

di Salvatore Costanzo – Con la legge del 29 luglio 1957, fu costituito anche a Caserta il Consorzio per l’Area industriale che segnò l’inizio dell’industrializzazione a livello provinciale. Sul processo di trasformazione dell’area casertana (passaggio della “economia agricola” in “economia industriale”), particolare significato storico riveste una testimonianza di Federico Scialla che, dovendo fare il punto sugli anni della industrializzazione, così scriveva: “Ecco come è cambiata Terra di Lavoro negli anni ’50 e ’60. Nel Casertano venne presto avvertita la necessità di avere manodopera specializzata. Certamente l’industrializzazione partì da Marcianise” (1).

Nelle nuove realtà produttive di quegli anni, riteniamo necessario premettere che furono numerosi i professionisti di valore – urbanisti, progettisti e strutturisti – che presero parte alle vicende architettoniche dei primi insediamenti locali, verso i quali oggi la critica deve rendere il giusto omaggio. Tutte personalità meritevoli di essere conosciute, che contribuirono ad interpretare i nuovi orientamenti di gusto e di stile degli edifici industriali, con opere tecnicamente appropriate e intimamente partecipi alle più avanzate ricerche contemporanee.

Tra i progettisti più importanti, un posto di rilievo ebbe certamente Angelo Mangiarotti (1921-2012), da considerare una delle grandi firme dell’architettura italiana. Di origini milanesi, fu autore dello stabilimento Siag a Marcianise, riconducibile agli anni 1962-64, esempio tra i più significativi della produzione locale di pannelli truciolari. L’edificio fu realizzato con la collaborazione di un altro valente protagonista dell’architettura industriale del tempo, l’ingegnere Aldo Favini. Sull’attività professionale del Mangiarotti e sulla storia dell’impianto Siag a Marcianise, inteso come “una costruzione infinita”, così riporta Francesca Castanò (LetteraVentidue, 2017): “Mangiarotti è stato l’ideatore più prolifico di motivi architettonicamente combinati e di una nuova prosa novecentesca, nel passaggio tanto da un’opera all’altra che dalla grande alla piccola scala. La rilettura a ritroso nel tempo ha rivelato un percorso di ricerca autenticamente nuovo maturato tra gli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, portatore di una singolare modernità, tutta contenuta in questo complesso industriale unico nel contesto di Marcianise”.

Utile sottolineare che l’opificio (poi passato alla società Saffa), nacque sul modello Olivetti e rappresentò una testimonianza eloquente dell’esperienza d’architettura avanzata degli anni della crescita economica, soprattutto per la ricerca progettuale di nuove soluzioni nel campo delle strutture prefabbricate e modulari. Ma al di là dell’attenzione al tema sociale e alla qualità dell’intervento progettuale Siag, sul linguaggio compositivo del Mangiarotti diremo ancora che rappresenta l’espressione di un rapporto innovativo tra uomo e ambiente. La sua visione dell’architettura è, in definitiva, quella di un’arte pratica, sobria e funzionale.

Nella seconda metà del decennio ’60, si gettarono le basi per la creazione del Nucleo industriale Asi Caserta sud-area di Marcianise. Sul processo di industrializzazione di quegli anni, non possiamo non fermare la nostra attenzione sulle esperienze progettuali di Eduardo Vittoria (1923-2009), colto professionista napoletano (architetto, designer e urbanista) che sviluppò una ricerca tecnologica rispettosa dei problemi di integrazione ambientale, favorita anche dal lungo e prolifico rapporto con Adriano Olivetti, assai interessato ai sistemi di prefabbricazione e alle nuove esigenze degli spazi industriali. Sulla biografia del Vittoria, può risultare utile annotare il volume curato da Giovanni Guazzo e scritto a più mani che fa il punto su una dei maggiori protagonisti dell’architettura di quegli anni, e che per il suo anticonformismo e per la passione civile che sempre animò il suo lavoro, è stato spesso trascurato dalla pubblicistica.

Lungi dal padroneggiare una sola arte, cercò in varie direzioni diversi sbocchi al suo spirito creativo; ma quello che per gli altri rimase per lo più aspirazione inappagata, divenne realtà in Vittoria, nel senso che egli riuscì veramente a dare la misura della forza del suo ingegno in tutti i molteplici campi in cui operò. E, per il fatto della sua alta personalità, sempre finì per produrre opere cariche di profondi significati moderni. Dopo la sua collaborazione con Luigi Cosenza, nel ’51, venne chiamato ad Ivrea da Adriano Olivetti, con il quale collaborò per un ventennio realizzando una serie di insediamenti industriali a Scarmagno nell’area torinese, Crema nel territorio lombardo e Marcianise (Olivetti, con Marco Zanuso (2), tra il 1968-70), opifici che si svilupparono con metodi costruttivi comuni. Il Vittoria fu interprete del modello di progettazione legato alla visione territoriale e comunitaria olivettiana; un modello sconfitto, che si fondava – scrive Marcello Fabbri nella prefazione del citato volume – “sulla corresponsabilizzazione collettiva, culturale e sociale dell’ambiente umano, a cui servizio la fabbrica era posta come fattore di ricchezza” (3).

Assai densi di interesse nella Marcianise industriale del decennio ’70, i raggiungimenti dell’architetto e ingegnere milanese Gigi Gho’ (1915-98), impegnato nella realizzazione (insieme ad Aldo Favini) dello stabilimento Kodak del 1975, opera certamente eloquente per il sapiente impiego di elementi strutturali innovativi. Vale la pena ricordare che qualche anno prima di costruire il suddetto opificio, l’architetto Gho’ redasse nel ‘71 un progetto simile – rimasto soltanto sulla carta – per un complesso Kodak da destinare all’area di Napoli. Dal punto di vista planimetrico, l’edificio di Marcianise si compone di un impianto sommariamente cruciforme, che si estende per 12.500 mq., con la parte sud – molto ampia- adibita a magazzini, un’ala ovest dedicata agli uffici con mensa e spazi collettivi, una parte nord coi laboratori e un settore centrale destinato agli impianti tecnologici, che si sviluppa maggiormente in altezza (4). Di particolare interesse sono gli elementi prefabbricati frangisole, concepiti come schermature reticolari appoggiate al suolo, verniciate di bianco e dotate di differenti inclinazioni sulla base dell’incidenza dei raggi solari: il loro caratteristico profilo plastico marca in maniera inconfondibile i fronti del complesso, conferendogli una specifica figuratività (5).

Un allargamento d’attenzione merita la monografia di Gigi Gho’ curata da Jolanda Ventura, che contiene una sintesi di cinquant’anni di attività progettuale da parte del progettista lombardo, che – come riporta Alessandro Sartori – ha contribuito silenziosamente alla definizione dell’immagine moderna di Milano. Siamo di fronte ad un professionista colto, un “muratore che ha imparato – e molto bene – il latino” in grado non solo di costruire con grande affidabilità, ma anche di declinare correttamente gli elementi figurativi dell’architettura e di raggiungere un linguaggio di grande raffinatezza, non privo di sorprendente inventiva (6).

(1) Per un vantaggioso richiamo su questo argomento, cfr. il Giornale di Napoli, 4 ottobre 1987. Ed ancora, Marcianise ieri e oggi, Seconda edizione curata da F. Scialla, Tip. Saccone s.r.l., S. Nicola la Strada, 1993, pp. 58-60.

(2) Di origini milanesi, Marco Zanuso (1916-2001) è stato fra i maggiori animatori della cultura del moderno. E’ considerato un punto di riferimento nel design industriale italiano, nell’architettura e nell’urbanistica.

(3) Cfr. S. Costanzo, L’architettura moderna nel Meridione d’Italia (1930-2019), Edizione Giannini, Napoli 2019, pp. 138-139; note n.119-121, p. 218. Il volume tenta una prima inquadratura storico-critica delle architetture realizzate dagli anni ’30 del Novecento fino ad oggi nei vasti territori del Mezzogiorno, attraverso la conoscenza di trame biografiche e linguaggi espressivi di un cospicuo numero di architetti-protagonisti. La loro produzione consente di mettere a fuoco, al di là delle mutevoli variazioni stilistiche delle loro opere, utili arricchimenti progettuali in cui si condensa un’ampia ricerca documentaria.

(4) Sull’opera del Gho’, cfr. J. Ventura (a cura di), Gigi Gho’: progetti e architetture 1950-1995, (s.e.),1997, pp. 214-231. Ed ancora, Domus, n.560, luglio 1976; L’industria delle costruzioni, n.61, nov. 1975; L’industria italiana del cemento, n.4, 1978 e n.10, 1988.

(5) Ibidem

(6) Su quest’ultimo punto del Sartori, cfr. Gigi Gho’: progetti e architetture 1950/1995 (dalla Biblioteca della Fondazione dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori  di Milano, 20.07.2011).

Scrivici su Whatsapp
Benvenuto in Pupia. Come possiamo aiutarti?
RedazioneWhatsappWhatsApp
Condividi con un amico