Taranto, operazione “500 Cash”: 13 arresti per furti d’auto

di Redazione

A seguito di indagini dirette dalla Procura di Taranto, nella persona del sostituto procuratore Lanfranco Marazia, e condotte dalla Squadra mobile, sono stati eseguiti 13 arresti (5 in carcere e 8 ai domiciliari), disposti dal gip Benedetto Ruberto nei confronti di indagati accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata al furto di autovetture, ricettazione, riciclaggio ed estorsione. Tra gli arrestati, in carcere sono finiti; Francesco D’Angela, 32 anni; Cataldo Laneve, 49, già detenuto per altre vicende, Vincenzo Martinelli, 35, e Mirko Schiavone, 29; ai domiciliari: Vito Calella, 35, Emanuele Capuano, 37, Danilo Cossu, 28, Cipriano Florio, 32, Graziano Laneve, 42, Damiano Mastropieto, 36. In tutto i soggetti individuati ed indagati sono 22.

L’indagine ha preso avvio nel febbraio 2018, sulla scorta di numerose denunce di furti di auto consumati nel capoluogo e nella provincia di Taranto, ed ha consentito di accertare l’operatività (sino a tutto il giugno 2018) di un’articolata organizzazione operante principalmente nella provincia di Taranto (ma con episodi delittuosi rilevati successivamente anche nelle province di Brindisi e Lecce), dedita appunto alla commissione di plurimi reati contro il patrimonio, prevalentemente furti di autovetture di ultima generazione (Fiat 500, Fiat Panda, Lancia Y e Land Rover “Evoque”), ricettazione e/o estorsione nei confronti dei legittimi proprietari (c.d. “cavallo di ritorno”).

Un’associazione che poteva vantare la disponibilità di mezzi e infrastrutture (di arnesi ed attrezzi utili allo scassinamento delle autovetture o alla loro “cannibalizzazione”; di centraline elettroniche di autovetture di ultimissima generazione; di locali “sicuri”, anche fuori provincia, ove custodire i materiali necessari a compiere i furti oppure ove parcheggiare provvisoriamente i veicoli rubati), di figure professionali di comprovata esperienza (meccanici e carrozzieri). Un’associazione in grado di porre in essere con sistematicità numerose operazioni illecite – al punto da indurre uno degli indagati a sostenere “…taglia le macchine e le portiamo…ogni giorno ne porto una!”.

Accanto alla figura dei capi – ritenuti soggetti dall’elevata caratura criminale, che decidevano le operazioni illecite da compiere, tenendo le fila delle trattative con le vittime delle estorsioni nonché i rapporti con le figure professionali che cooperavano per il riciclaggio delle vetture rubate, e talvolta chiamati pure ad appianare piccoli contrasti insorti tra i vari membri in ordine alla spartizione dei profitti – si ponevano altri (fra cui anche una donna, non destinataria di misura) che collaboravano nei furti e nella gestione dei “cavalli di ritorno”, ed il cui contributo era tuttavia indispensabile in vista della realizzazione dei vari colpi pianificati dai vertici.

Un quadro indiziario significativo e concludente, sorretto non solo dalle intercettazioni, ma anche e soprattutto dai riscontri derivati dalle attività di osservazione e pedinamento, da perquisizioni e sequestri, nonché dalla visione di immagini di impianti di videosorveglianza presenti sui luoghi di consumazione dei reati. Le conversazioni risultavano ovviamente connotate da un’elevata allusività, ricorrendo gli indagati alla loro “codificazione” o “criptazione”, adoperando espressioni simboliche, come ad esempio il termine “ragazze” per indicare le vetture rubate o «vendita» per alludere all’operazione del “cavallo di ritorno”. A proposito di quest’ultimo aspetto dell’indagine, in alcuni casi le vittime denunciavano il furto della propria autovettura, per poi, a distanza di qualche giorno segnalarne l’avvenuto “rinvenimento” sulla via pubblica. Circostanza che ha destato ovviamente sospetto.

Le indagini hanno in effetti consentito di appurare in più casi che l’auto di cui veniva denunciato il furto si trovava nella disponibilità degli indagati – i quali provvedevano poi a spostarla e collocarla nel luogo ove poi il proprietario la ritrovava – e che le persone offese si mettevano in contatto (il più delle volte tramite parenti o persone amiche) con gli stessi indagati; il che ha dato prova di come la vettura venisse fatta ritrovare a fronte del pagamento di un riscatto.

Da segnalare come i furti delle auto venissero consumati nel giro di pochi minuti ed anche in pieno giorno.  Significativo quanto riferito da una delle vittime, che in data 20 aprile 2018 denunciava il furto della propria autovettura avvenuto pochi istanti prima, praticamente sotto i propri occhi. Come pure significativo è quanto accertato a proposito di un furto consumato appena il giorno successivo nel Viale Magna Grecia di Taranto. Le immagini tratte da impianti di videosorveglianza hanno reso possibile ricostruire le fasi del furto, ovvero di notare distintamente due complici (successivamente riconosciuti ed identificati in due degli odierni indagati) giungere a bordo di un’autovettura; quindi, mentre uno dei due forzava la serratura di una Fiat 500, l’altro fungeva da palo e regolava il traffico al fine di agevolare la fuga del complice. Anche per tali furti, l’attività di indagine ha consentito di affermare la piena responsabilità degli indagati.

Sin dalle prime battute dell’indagine sono emersi poi frequenti contatti telefonici tra gli indagati dediti ai furti ed autotrasportatori/meccanici operanti in altri centri della provincia, coi quali i primi dialogavano su compravendite di autovetture e componenti meccaniche. Continuo era il riferimento ad improbabili “cambi di assicurazione”, “tagliandi” e “riparazioni” da effettuare su autovetture non meglio precisate. Le auto venivano poi consegnate presso alcuni depositi/officine della provincia (ma nono solo) in fasce orarie in cui, complici il buio e/o la diminuita presenza di equipaggi delle forze dell’ordine, minori erano i rischi di incorrere in controlli su strada.

A seguito di prolungati servizi, in data 13 marzo 2018 personale della Squadra Mobile acquisiva come certo il dato che uno degli indagati aveva portato in un deposito sito a Monteparano un’ennesima autovettura rubata. Veniva pertanto effettuato un accurato controllo di quei locali. Nella circostanza il custode del deposito si dava a precipitosa fuga imbracciando un fucile. Lo stesso veniva bloccato e tratto in arresto per detenzione e porto di arma da fuoco. Ad esito della perquisizione locale venivano rinvenuti e sequestrati quattro motori Fca di ultima generazione, numerose parti di carrozzeria di autovetture del gruppo Fca ed un’autovettura Fiat Panda che presentava anomalie nella “punzonatura” del telaio. Le verifiche effettuate successivamente da personale della Polizia stradale di Taranto hanno permesso di accertare la provenienza illecita di tutte le suddette componenti (risultate abbinate ad altrettante autovetture risultate oggetto di furto in Taranto nei mesi di febbraio e marzo 2018) come pure della Fiat Panda, anch’essa oggetto di furto. Qualcosa di analogo è avvenuto pure il 16 aprile 2018, allorquando all’interno di un deposito-officina di Sava, uno dei “meccanici” di riferimento dell’associazione veniva sorpreso intento a smontare una Fiat Panda risultata oggetto di furto il precedente 10 aprile. Quest’ultimo soggetto era solito occuparsi non solo dello smontaggio delle autovetture rubate ma anche del riciclaggio dei relativi componenti di volta in volta indicati nel corso delle conversazioni coi termini “uovo di Pasqua”, “infissi”, “mobili” eccetera.

Ma non solo nel territorio tarantino venivano trasferite le autovetture derubate. La notte del 6 aprile 2018, personale della Squadra mobile rinveniva, in viale del Lavoro, a Brindisi, (segnalandole alla polizia del posto che ne effettuava il materiale recupero e la riconsegna ai legittimi proprietari), tre autovetture (due Fiat 500 ed una Fiat Panda) oggetto di furto compiuto a Taranto nei giorni precedenti. Il trasferimento dei veicoli avveniva in maniera talmente veloce ed attraverso plurimi soggetti, che in una circostanza – in cui ad essere stata derubata era stata l’auto della moglie di un noto pregiudicato per associazione di tipo mafioso –, seppure gli indagati abbiano cercato di recuperare e restituire l’auto (nel frattempo già trasferita altrove, presumibilmente a Brindisi) non riuscivano più nell’intento.

In un altro caso, invece, gli indagati sono stati a loro volta vittime di aggressioni e minacce da parte di altri soggetti del quartiere Paolo VI di Taranto (a loro volta indagati), i quali recriminavano il patito furto dell’autovettura di un loro congiunto subito l’anno prima, pretendendo la restituzione del corrispettivo in denaro o, in subordine, la consegna di una “nuova” autovettura, minacciando pesanti ritorsioni. A seguito dell’intermediazione di un “garante”, colui che era ritenuto responsabile del furto otteneva il favore di estinguere ratealmente il “debito”, il cui pagamento veniva comunque più volte sollecitato attraverso diverse intimidazioni (con percosse e persino con la minaccia di una pistola). Talvolta le auto venivano invece vendute direttamente dagli indagati. È il caso di una 500 “Abarth”, derubata questa volta a Massafra, e che veniva promessa ad un soggetto al prezzo di 1500 euro, salvo poi interrompere le trattative essendosi optato nuovamente per il solito “cavallo di ritorno”.

Il gruppo di indagati ha pure mostrato di possedere delle armi. Il 23 aprile 2018, veniva effettuata una perquisizione locale all’interno dell’abitazione di uno degli indagati nonché di un locale box a lui riconducibile, rivenendovi una pistola clandestina completa di cartucce calibro 7,65, oltre che (a conferma delle attività illecite del gruppo) un quantitativo ingente di arnesi atti allo scasso, centraline modificate per l’avviamento di autoveicoli ed altri oggetti di certa provenienza furtiva prelevati dall’interno delle tante autovetture rubate.

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