Occultavano beni al Fisco: sequestri da 2 milioni a Marcianise e San Cipriano

di Redazione

La compagnia della Guardia di Finanza di Marcianise ha dato oggi esecuzione al decreto con il quale il gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, su conforme richiesta della Procura, ha disposto il sequestro preventivo di immobili del valore di mercato di oltre 2 milioni di euro, riconducibili e nella materiale disponibilità dei componenti di due nuclei familiari: Campomorto di Marcianise, imprenditori del settore edile; Ferraiuolo di San Cipriano d’Aversa, al cui vertice si colloca Alfonso Ferraiuolo, già condannato nell’ambito del maxiprocesso “Spartacus”, per il reato di associazione di tipo mafioso, essendo stato accertato il suo stretto rapporto di collaborazione con il capoclan Francesco Schiavone, detto “Sandokan”, con ruolo di fattivo supporto logistico nel periodo della latitanza di quest’ultimo.

L’indagine è stata svolta in maniera unitaria, sebbene riguardante due distinti nuclei familiari, avendo, essa, preso l’avvio da un’attività di contrasto al riciclaggio di capitali di provenienza illecita, coinvolgente professionisti, esperti nella creazione di “trust”. In particolare, l’indagine è nata da un’ispezione antiriciclaggio nei confronti del notaio Giovannibattista Musto di Caserta, al quale i nuclei familiari Campomorto e Ferraiuolo si erano rivolti per la stipula di plurimi atti di trasferimento immobiliare. Al termine del controllo valutario veniva contestata al notaio l’omessa segnalazione di operazioni sospette, per un ammontare complessivo di circa 840mila euro. Da qui il successivo sviluppo investigativo, che ha permesso di comprendere come il professionista fosse consapevole delle reali finalità sottese ai trasferimenti immobiliari, ossia di eludere eventuali azioni di apprensione degli stessi da parte del Fisco, a soddisfazione dei debiti tributari maturati, ovvero dall’autorità giudiziaria, quali patrimoni illecitamente accumulati. Tale azione elusiva, secondo l’impianto accusatorio della Procura condiviso dal giudice, è stata realizzata avvalendosi dell’istituto giuridico del trust, di origine anglosassone, ma da lungo tempo recepito nell’ordinamento italiano, attraverso il quale un soggetto aliena beni o diritti di sua proprietà al “trust” stesso, affidandoli alla gestione di un terzo che viene definito “trustee”. I beni facenti parte del patrimonio del “trust” non possono continuare ad essere a disposizione del disponente, né questi può in alcun caso beneficiare dei relativi redditi o condizionare in alcun modo il potere gestionale del “trustee”. Tanto più non deve esserci coincidenza tra le figure del disponente e del gestore. Nel caso di specie, invece, si ritiene esservi stato un abuso dello strumento giuridicamente previsto, essendo stato evidentemente acclarato che il potere di gestire e disporre dei beni sia rimasto, in tutto o in parte, in capo al disponente; e ciò all’esclusivo fine di ostacolare la riconducibilità a lui di tali beni, neutralizzando così procedure esecutive e giudiziarie.

In concreto, nel primo caso, a seguito di una verifica fiscale condotta nei confronti dell’azienda edile “Mira. Impianti srl” di Marcianise, la famiglia Campomorto aveva accumulato decine di cartelle esattoriali insolute per un ammontare complessivo di mezzo milione di euro. A fronte di tale debito erariale, la coppia di coniugi aveva quindi deciso di riunire fittiziamente all’interno di un trust denominato “Zante” l’intero patrimonio in loro possesso, costituito da 10 appartamenti e 4 terreni, per un valore di mercato di circa 1.300.000 euro, mantenendone però di fatto la gestione e il controllo. In epoca successiva, per rendere ancora più difficoltosa l’esecuzione di un’eventuale azione revocatoria, i Campomorto avevano fatto sì che i beni confluiti nel trust venissero donati alle figlie, le quali, a loro volta, avevano costituito autonomi fondi patrimoniali in cui occultare gli immobili ricevuti in donazione. Il reato contestato è quello di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (con una pena edittale della reclusione sino a sei anni).

Per ciò che concerne, invece, la posizione dei Ferraiuolo, questi, con il concorso dello stesso notaio, tramite analoghe condotte di fittizia intestazione, sono riusciti ad occultare per lungo tempo l’esistenza di rilevanti complessi immobiliari, acquisiti grazie all’attività criminale di Ferraiuolo, ritenuto intraneo al clan dei casalesi. Infatti, Alfonso Ferraiuolo, capostipite della famiglia, nell’ambito del maxiprocesso “Spartacus”, è stato condannato in via definitiva per aver avuto un ruolo attivo nel tentativo di proteggere la latitanza di Francesco “Sandokan” Schiavone, di aver operato in qualità di suo prestanome e per aver ricevuto rilevanti benefici economici grazie alla sua appartenenza all’organizzazione di stampo camorristico di riferimento. Dall’esame degli atti acquisiti presso lo studio notarile, è emerso che, durante il processo penale in corso, poco prima dell’emanazione della sentenza definitiva di condanna, egli aveva donato il proprio patrimonio personale (un complesso immobiliare composto da 4 appartamenti, un ulteriore immobile e 9 terreni per un valore di mercato stimato in circa 800mila euro) a due figli, i quali, a loro volta, li avevano fatti confluire all’interno di un trust denominato “Steraf”.

Tra i beni oggetto di illecita spoliazione compare una villa composta da 4 appartamenti ubicata a San Cipriano d’Aversa, la quale, in base agli atti giudiziari, era stata originariamente acquistata dall’organizzazione criminale ed utilizzata dai membri del sodalizio tra cui lo stesso Schiavone. Le cessioni immobiliari, con tutta evidenza preordinate ad eludere le misure di prevenzione antimafia, sono avvenute senza che sia mai subentrata una sostanziale variazione del rapporto di effettiva disponibilità su tali immobili. La condotta incriminata configura il reato di trasferimento fraudolento di valori, che prevede una pena edittale della reclusione sino a sei anni. Considerato l’elevato valore indiziario degli elementi raccolti nel corso dell’attività investigativa, rilevato il rischio che la libera disponibilità degli immobili in trattazione possa aggravare o protrarre le conseguenze dei reati, su richiesta della Procura, il gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha disposto il sequestro preventivo dell’intero “asset” immobiliare delle famiglie Campomorto e Ferraiuolo oggetto di fittizia intestazione. Sono stati posti, pertanto, i sigilli a 14 unità immobiliari e a 13 terreni del valore di mercato di oltre 2 milioni di euro (valore catastale pari a 770mila euro).

L’operazione, connotata da un alto grado di tecnicismo, costituisce un esempio di sinergia operativa tra questa Procura ed il comando provinciale della Guardia di Finanza di Caserta, nell’azione di contrasto all’accumulazione di consistenti capitali di provenienza illecita, sottratti al Fisco, anche grazie alla connivenza e all’apporto personale di professionisti, e, quindi, nell’azione di contrasto all’evasione fiscale.

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