‘Ndrangheta, sequestrati beni per 28 milioni all’imprenditore Restuccia

di Redazione

Sotto il coordinamento della Procura antimafia di Reggio Calabria, le Fiamme Gialle del Comando provinciale, del Nucleo speciale polizia valutaria e del Servizio centrale investigazione sulla criminalità organizzata hanno eseguito, nelle province di Reggio Calabria, Vibo Valentia e Roma, un provvedimento di sequestro, nei confronti dell’imprenditore edile vibonese Angelo Restuccia, dell’intero patrimonio aziendale di 4 imprese commerciali, delle rispettive quote societarie, di 27 immobili (appartamenti, locali commerciali, terreni), di svariati rapporti finanziari e assicurativi, il tutto per un valore stimato pari a circa 28 milioni di euro.

Tale provvedimento si fonda sulle risultanze delle attività investigative poste in essere dalla Guardia di Finanza, da cui è emerso che l’imprenditore – sebbene abbia riportato solamente condanne per fatti di modesta entità (violazioni fiscali e alla normativa sul lavoro), peraltro risalenti – è da tempo colluso con la ‘ndrangheta, avendo avviato ed accresciuto le proprie attività grazie agli appoggi delle cosche “Piromalli” e “Mancuso” operanti rispettivamente nei territori di Gioia Tauro e Limbadi e legate da accordi e cointeressenze economiche, così come si ricava dalle evidenze giudiziarie del processo “Tirreno” e, da ultimo, del processo “Mediterraneo”.

Tale rapporto sinallagmatico, risalente ai primi anni Ottanta, ha consentito all’imprenditore di prosperare e, nel contempo, ha favorito gli interessi dei sodalizi mafiosi, rafforzandone le capacità operative e di controllo del territorio.

La figura di Restuccia è inizialmente emersa nell’ambito dell’operazione di polizia denominata “Bucefalo”, condotta dai Reparti delle Fiamme Gialle e conclusasi con l’esecuzione, nel corso del 2015, di provvedimenti cautelari personali e patrimoniali nei confronti di 11 soggetti, tra cui il noto imprenditore Alfonso Annuziata, 74 anni. In quel contesto era emerso lo storico legame tra quest’ultimo ed i componenti di vertice della cosca “Piromalli” – da Don Peppino, 96 anni, fino a Pino Piromalli, 72 anni, – e come lo stesso si fosse prestato “(…) da oltre venti anni, volontariamente e consapevolmente, al perseguimento degli scopi imprenditoriali ed economici della predetta cosca, così creando e sviluppando, nel tempo, solide cointeressenze economiche, accompagnate da ingenti investimenti commerciali nel territorio di Gioia Tauro (un esempio per tutti la realizzazione del parco commerciale Annunziata). Annunziata, in definitiva, è da ritenere partecipe della cosca Piromalli, rappresentandone (…) il «cuore imprenditoriale»”.

Attraverso le indagini svolte era stato possibile accertare che nella realizzazione del “Parco Commerciale Annunziata” di Gioia Tauro erano state impiegate diverse imprese legate, direttamente o indirettamente, a cosche di ‘ndrangheta. L’assegnazione dei lavori, infatti, era una prerogativa esclusiva della cosca “Piromalli”, tanto da rappresentare uno dei motivi scatenanti la storica rottura dei rapporti tra la citata famiglia e la cosca “Molè”, le più potenti della piana di Gioia Tauro, storicamente legate da vincoli economici e di sangue.

In questo contesto, la Restuccia Costruzioni S.p.a. – gestita ed interamente riconducibile a Restuccia– ha realizzato una consistente parte dei lavori edili, ovvero la struttura prefabbricata adibita a nuova sede dell’“Annunziata S.r.l.”, oltre a due capannoni ed un fabbricato che insistono all’interno del parco commerciale.

Le investigazioni svolte, corroborate dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, hanno inoltre consentito di appurare come “…don Angelo Restuccia…” non solo conoscesse da tempo i vertici della cosca “Mancuso”, ma li frequentasse e si rapportasse con loro, attraverso un rapporto duraturo e sinallagmatico tale da produrre reciproca collaborazione e reciproci vantaggi, aventi ad oggetto il comune interesse alla realizzazione di opere edili – sia pubbliche che private – nel territorio calabrese.

Restuccia è quindi un esempio emblematico di “imprenditore mafioso”, che ha instaurato con la ‘ndrangheta, tanto reggina quanto vibonese, un rapporto interattivo fondato su legami personali di fedeltà e orientato ad un vantaggio economico, avendo certamente tratto dall’attiguità agli ambienti criminali un beneficio per la propria attività imprenditoriale.

Una volta delineato il profilo di pericolosità sociale qualificata del proposto, l’attività investigativa si è concentrata, poi, sulla ricostruzione del complesso dei beni di cui Restuccia e il suo nucleo familiare sono risultati poter disporre, direttamente o indirettamente, nell’arco temporale intercorrente dal 1985 al 2017, accertando, non solo la sproporzione esistente tra il profilo reddituale e quello patrimoniale, ma, soprattutto, il ruolo di imprenditore “mafioso” che lo stesso ha rivestito nel tempo, tanto da poter sostenere che il patrimonio accumulato altro non sia che il frutto o il reimpiego dei proventi di attività illecite. Si è appurato infatti, che la “corporate governance” sistematicamente illecita abbia alterato nel tempo le attività economiche riconducibili alla famiglia Restuccia, snaturandone la loro ipotetica origine lecita, e trasformandole quindi – quale “frutto di attività illecita” – in altre entità economiche distinte dalle precedenti.

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