Catanzaro, furti con “cavallo di ritorno”: ecco come rubavano auto

di Redazione

Operazione “Safety Car” dei carabinieri del comando provinciale di Catanzaro contro un’organizzazione di ladri di automobili. L’associazione, composta prevalentemente da persone di etnia rom, agiva nel capoluogo calabrese, compiendo decine di furti al mese.

Ventiquattro le persone indagate, mentre sono stati venti gli arresti eseguiti dai militari del Reparto operativo su disposizione della Procura di Catanzaro. I carabinieri nelle scorse ore hanno effettuato gli arresti con un blitz notturno nei quartieri di Catanzaro tradizionali roccaforti della criminalità rom che da sempre affligge il capoluogo. Perquisite anche decine di abitazioni nella zona sud della città.

La banda, come spiegato dal procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri che ha coordinato le indagini, assieme al sostituto Viscomi, si organizzava i furti per poi estorcere denaro. Ad esser colpita tutta la zona del catanzarese, da Sellia Marina a Catanzaro Lido, da Gasperina a Davoli e a Borgia, compreso il centro cittadino.

Un’organizzazione che si muoveva in tutto l’hinterland catanzarese e operava principalmente nelle ore notturne, con veri e propri raids, puntando su determinati tipologie di auto, come le Fiat o le Alfa Romeo, che come spiega il Gip che ha firmato l’ordinanza “notoriamente più vulnerabili di altre”.

La commissione di questa così lunga serie di furti non si è mai arrestata nonostante “il sistematico recupero di tutte e 38 le auto rubate nel corso di ben 4 mesi di indagine. Il che dimostra che l’obiettivo della “banda” fosse quello di praticare il cosiddetto “cavallo di ritorno” e, cioè, l’estorsione di un “pizzo” al proprietario dell’auto per il recupero della stessa. In questa prospettiva, la compagine non necessitava neppure di far conto su ricettatori, essendo sufficiente che la refurtiva fosse lasciata in un luogo isolato o in un capannone abbandonato”. Una grande intesa tra i complici, scrive il giudice, che li ha defniti “esperti e abituati a lavorare insieme secondo un copione prestabilito ed idoneo per una serie indeterminata di furti da commettere”.

Bastavano pochissimi secondi per forzare un’autovettura, metterla in moto e fuggire. Quindi rintracciare il proprietario e chiedere una somma di denaro per la restituzione. Un meccanismo consolidato a Catanzaro e provincia, gestito prevalentemente dal gruppo stanziale di etnia rom, ma interrotto dall’operazione “Safety Car” condotta dai Carabinieri del comando provinciale di Catanzaro, della Compagnia di Soverato e della stazione di Gasperina.

Sono venticinque le persone coinvolte nelle indagini, sedici delle quali condotte in carcere e quattro agli arresti domiciliari. I dettagli dell’inchiesta sono stati illustrati nel corso di una conferenza stampa che si è svolta a Catanzaro, negli uffici della Procura, alla presenza del procuratore capo Nicola Gratteri, dell’aggiunto Giovanni Bombardieri, del comandante provinciale dei Carabinieri, il colonnello Marco Pecci, del comandante del Reparto investigativo, tenente colonnello Alceo Greco, del comandante della compagnia di Soverato, tenente Gerardo De Siena, del comandante della Stazione di Gasperina, maresciallo Domenico Misogano.

L’indagine è stata coordinata dal sostituto Graziella Viscomi e dall’aggiunto Bombardieri, con l’ordinanza firmata dal gip Giulio De Gregorio. E’ stata proprio la piccola Stazione della cittadina catanzarese ad avviare le indagini dopo la denuncia di furto presentata da due proprietari di autovetture. A partire da settembre 2015 i militari dell’Arma sono così riusciti a ricostruire decine di furti, anche in alcune abitazioni, scoprendo che dietro l’imponente giro di affari si nascondeva una vera e propria associazione per delinquere, capace di gestire decine di furti con destrezza e con precisione, interscambiando i ruoli e nascondendo le autovetture rubate fino alla richiesta di denaro ai proprietari per mettere in atto il cosiddetto “cavallo di ritorno”.

I carabinieri sono riusciti, però, ad inserirsi in questo meccanismo, individuando le autovetture subito dopo il furto e restituendole ai proprietari che, in alcuni casi, non si erano ancora accorti nemmeno del furto. Le indagini hanno poi permesso di ricostruire ruoli e volti dei responsabili, contestando il reato di associazione a delinquere finalizzata al furto aggravato.

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