‘Ndrangheta, colpo al clan Mancuso: indagati anche politici

di Redazione

Vibo Valentia – 23 presunti boss e affiliati al clan Mancuso, operante in provincia di Vibo Valentia, e alle collegate cosche Accorinti, La Rosa e Grande, attive sul litorale, sono stati fermati da carabinieri, polizia e Guardia di finanza tra le province di Vibo Valentia, Cosenza, Como e Monza.

Le accuse sono di associazione di stampo mafioso, estorsione, intestazione fittizia di beni, detenzione e porto illegale di armi e sostanze esplodenti.

L’operazione anti ‘Ndrangheta, denominata “Costa Pulita”, è stata eseguita al termine di indagini dirette dai pm Camillo Falvo e Pierpaolo Bruni e coordinate dal procuratore della Repubblica facente funzioni Giovanni Bombardieri.

Numerose perquisizioni, anche a carico di ex amministratori del Comune di Briatico, che risultano indagati in stato di libertà. L’indagine, che ha lambito anche contesti politici di passate amministrazioni del comune di Parghelia, ha avuto specifico riferimento alle risultanze dell’accesso antimafia compiuto nel Comune di Briatico, poi sciolto per mafia nel 2012. Nello stesso, inoltre, le indagini avrebbero documentato anche propositi di ritorsione, attuati nel 2011 mediante lettera minatoria, contro un giornalista, autore di articoli sulla mala gestione del municipio.

Beni per un valore di 70 milioni di euro sono stati sequestrati nel corso dell’operazione contro la cosca Mancuso di Limbadi. Ci sono oltre 100 immobili, quote societarie e rapporti bancari ed anche 2 villaggi vacanze e tre compagnie di navigazione con altrettante motonavi che assicuravano, secondo l’accusa, in regime di sostanziale monopolio, i collegamenti turistici con le isole Eolie.

Durante le indagini, condotte anche con intercettazioni telefoniche, ambientali e video riprese, inoltre, sono state sequestrate diverse armi da fuoco e, nel 2014, sono stati arrestati, in flagranza di reato, alcuni elementi di spicco delle cosche mentre si accingevano a fare un attentato mediante l’utilizzo di un potente ordigno esplosivo.

L’ex vicesindaco di Parghelia, Francesco Crigna, è tra gli amministratori pubblici indagati in stato di libertà nell’inchiesta. Secondo l’accusa sarebbe stato in stretto contatto con esponenti della famiglia Il Grande, referenti in quel comune di Mancuso.

Dalle indagini sarebbe emerso che le imprese edili e di movimento terra facenti capo alla cosca, dopo l’alluvione che ha colpito il piccolo centro del vibonese nel febbraio-marzo 2011 sono state affidatarie in via quasi esclusiva di una serie di lavori per il ripristino di strade e dell’alveo di torrenti. Lavori che secondo l’accusa, spesso sarebbero stati assegnati indebitamente con una procedura di “somma urgenza”.

Crigna, inoltre, avrebbe attestato falsamente in favore di un componente la cosca, il possesso dei requisiti necessari all’assegnazione di un alloggio da parte dell’Aterp di Vibo. La famiglia Il Grande, in cambio dei favori ricevuti, si sarebbe impegnata a reperire voti per Crigna e altri suoi alleati politici in occasione delle consultazioni elettorali.

Concorso esterno in associazione mafiosa: è l’accusa ipotizzata dalla Dda di Catanzaro nei confronti di Andrea Niglia, presidente della Provincia di Vibo e sindaco di Briatico, dichiarato incandidabile il 20 marzo scorso dalla Corte di Cassazione, indagato in stato di libertà nell’inchiesta “Costa Pulita”. La casa di Niglia è stata perquisita stamani. Secondo l’accusa, in qualità di sindaco di Briatico, si sarebbe attivato per favorire la cosca Accorinti. In particolare, per la Procura, l’ex primo cittadino avrebbe posto in essere “condotte riservate e fraudolente tese a salvaguardare l’attività del villaggio Green Garden costituente una delle principali fonti di guadagno della cosca”. Niglia era stato eletto presidente della Provincia di Vibo il 28 settembre 2014 con l’appoggio dei renziani del Pd, esponenti di Ncd, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Il 20 marzo scorso la Cassazione ha stabilito l’incandidabilità e quindi la decadenza. Contro questa decisione lo stesso Niglia ha annunciato di aver avviato un’azione di sospensiva e revoca dell’atto.

L’indagine ha consentito anche di svelare l’ingerenza del clan Accorinti sulle cerimonie religiose della zona. In particolare, durante la processione a mare della Madonna del Monte Carmelo, che si svolge ogni 15 luglio a Briatico, i carabinieri durante il servizio di osservazione, hanno constatato che la statua della Vergine veniva trasportata a bordo dell’imbarcazione denominata “Etica” condotta proprio da Antonino Accorinti, indicato come il capo.

Un ex parroco del paese ha spiegato agli investigatori che “certi soggetti del luogo dovendo imporre il loro dominio nel paese si indirizzavano alla parrocchia nel tentativo di influenzare e dominarne l’attività pastorale”. Anche la tradizionale cerimonia dell’Affruntata sarebbe stata infiltrata dalla ‘ndrangheta. Infatti, come documentato da tre annotazioni dei carabinieri, “vi è la presenza tra i portatori delle statue di soggetti in massima parte, o riconducibili, o facenti parte delle compagini criminali”.

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