Sofia, la baronessa che morì per aiutare gli ammalati: appello per il ritorno del dipinto

di Redazione

Trentola Ducenta – “Fedele alla Chiesa cristiana nell’intima unione di quanti vivono nella povertà e nelle sofferenze”. E’ l’inestimabile patrimonio di intensa fede nella misericordia di Dio che la baronessa Sofia Ausilia Mattei, nata il 17 aprile del 1861, morta a Trentola l’11 novembre nel 1884, ha lasciato a quanti hanno avuto la grazia di conoscerla ma anche di esserne amorevolmente aiutati.

Sofia, figlia della nobile Maria Vittoria Pizzoli, dama di corte di Napoleone III, e di Michelangelo Ausilia, latifondista, cresce a Napoli dove riceve un’educazione che le consente di far parte dell’alta società.

Nel 1880 sposa Gustavo Mattei, barone di Santa Lucia e Fettipiano, nato da Saverio Mattei e Gaetana Masola dei marchesi di Trentola, proprietari dello storico palazzo al centro della città, dove la giovane sposa Sofia nel 1884 morì, mentre soggiornava e il territorio era devastato da una violenta epidemia di colera con tanti ammalati e morti.

La giovane mamma Sofia, alla soglia dei 24 anni, con due bambini piccoli, Rodrigo di due anni e Marcello di soli quattro mesi, non esitò a mettere a repentaglio la sua stessa vita scendendo nelle strade per portare ogni genere di aiuto, ma soprattutto curare coloro affetti dalla devastante epidemia che erano stati abbandonati persino dai familiari, timorosi di essere contagiati.

Ammalati e sofferenti, così come i bisogni delle più elementari necessità, trovavano amorevole accoglimento e aiuto dalla nobile donna Sofia, dal cuore e animo buono. Morta l’11 novembre del 1884, dopo atroci sofferenze, per essere stata lei stessa contagiata dal colera, mentre spendeva le ultime sue forze curando gli ammalati.

Per molto tempo nella chiesa di Trentola fu esposto il suo ritratto, con inginocchiatoio contenente il suo velo e i suoi guanti da sposa, meta di venerazione e preghiera in suffragio della pia baronessa, ormai venerata come la santa che aveva curato gli ammalati e aiutato i poveri.

L’inginocchiatoio fu profanato da alcuni soldati tedeschi che usarono il velo per pulirsi gli stivali, così che la madre baronessa, Maria Vittoria Pizzoli, volle trasferire a Napoli, nella sua abitazione, il ritratto della figlia, oggi in possesso del pro nipote Sergio Nuvola Mattei.

Alla notizia del ritrovamento del ritratto autentico della baronessa Sofia, un tempo venerato nella chiesa di San Michele Arcangelo, sono molti i fedeli che chiedono alle autorità religiose della parrocchia e allo stesso vescovo Angelo Spinillo di mettere in atto iniziative per il ritorno nella chiesa trentolese del ritratto di chi ha fatto della carità e della fede in Dio il suo martirio sul territorio.

di Franco Musto 

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