Coppia acido: Martina in cella, il bimbo in comunità

di Redazione

Martina Levato e il suo bambino sono stati separati a seguito del provvedimento dei giudici minorili. Il piccolo è stato dimesso dalla clinica Mangiagalli e portato in una comunità protetta, mentre la madre è tornata nel carcere di San Vittore. La donna, Alexander Boettcher e i nonni potranno vedere, con modalità protette da stabilire da parte dai servizi sociali, il bambino.

Nell’ordinanza i giudici minorili citano la perizia psichiatrica che nel processo penale aveva valutato Martina come “soggetto borderline e pericoloso socialmente”, come Boettcher. Riferimenti alla perizia che, secondo l’avvocato Laura Cossar, legale dei genitori di Martina, non sono appropriati perché la perizia era stata disposta in un altro procedimento, quello penale.

La “vicenda criminosa” evidenzia da parte di Martina “un’assenza di pensiero e di sentimento rispetto alla vita”, hanno poi sottolineato i giudici spiegando anche come il “progetto procreativo” di Levato e Boettcher si sia sviluppato “insieme al progetto criminoso”.

Il tribunale per i minorenni di Milano ha anche deciso che i servizi sociali presso cui è stato collocato il bimbo dovranno effettuare un’indagine sul nucleo familiare e relazionare sul loro lavoro entro il 30 settembre. E ciò nell’ambito del procedimento di adottabilità aperto nei giorni scorsi dai giudici. Per l’avvocato di Martina “il tempo che è stato concesso potrebbe non essere sufficiente per una valutazione”.

In mattinata il legale della studentessa condannata a 14 anni per un’aggressione con l’acido aveva depositato presso il tribunale per i minorenni un’istanza per chiedere il trasferimento di madre e bimbo all’Icam (Istituto a custodia attenuata per detenute madri). L’ipotesi di un trasferimento in una delle comunità di don Antonio Mazzi veniva considerata soltanto come seconda scelta.

In estremo subordine, la richiesta ai giudici era che il bambino venisse affidato ai nonni materni in attesa della conclusione del procedimento sull’adottabilità. Nell’istanza i difensori chiedevano inoltre che venissero allargati fino ad almeno 4 ore i tempi di visita della donna al suo bambino e anche che Martina avesse la possibilità di allattarlo direttamente.

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