Estorsione all’imprenditore Battaglia: assolti i fratelli Zagaria

di Redazione

 Casapesenna. Il gup del Tribunale di Napoli, Carlo Modestino, ha assolto con formula piena, “perché il fatto non sussiste”, i tre fratelli Carmine, Pasquale e Antonio, i tre fratelli di Michele Zagaria, tutti attualmente detenuti, al termine del processo con rito abbreviato per il reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Il processo è partito dalla denuncia dell’imprenditore casertano Roberto Battaglia, titolare di un caseificio e noto alle cronache per il fatto di essersi sempre esposto contro la criminalità. Battaglia nel procedimento si era costituito parte civile. Insieme ai tre fratelli del boss dei Casalesi sono stati assolti anche gli altri otto imputati, che costituiscono il “gotha” del clan Zagaria di Casapesenna: il nipote del boss Filippo Capaldo (figlio di Beatrice, sorella di Michele Zagaria), i cognati Francesco e Raffaele Capaldo ed il cugino Pasquale Fontana. Assolti anche i due concessionari di auto Nicola Diana e Ciro Benenati.

“Dopo questa sentenza gli imprenditori non avranno più il coraggio di denunciare – afferma deluso Roberto Battaglia – ormai la situazione sembra essere più favorevole alla malavita. Ed ora ho paura di ritorsioni”. Ad eccezione dei fratelli di Zagaria e di Fontana gli altri imputati sono tutti liberi. Il pm della Dda Giovanni Conzo aveva chiesto pene tra i 10 e gli 11 anni di carcere. “È una sentenza che mi lascia senza parole – dice Gianluca Giordano, avvocato dell’ imprenditore Battaglia – anche perché l’ordinanza di arresto del Gip Maria Vittoria Foschini del 13 novembre 2012 era stata anche confermata dal Riesame, segno che c’erano i gravi indizi di colpevolezza. Aspettiamo le motivazioni”.

Roberto Battaglia cominciò a parlare con gli inquirenti pochi giorni dopo l’arresto di Michele Zagaria, avvenuto il 7 dicembre 2011. “Avevo terrore e paura di essere ammazzato”, aveva detto ai magistrati della Dda di Napoli. Dopo neanche un mese e mezzo due emissari del clan fecero visita alla sua azienda bufalina di Caiazzo intimandogli di tacere, ma l’imprenditore aveva confermato le accuse a carico del fratelli del boss, che furono arrestati nel novembre 2012. Il racconto di Battaglia partiva dal 1998, quando l’imprenditore chiede e ottiene da Benenati un prestito di 50 milioni di vecchie lire, pattuendo un interesse mensile del 15% 180% annuo).

Per far fronte agli interessi, Battaglia si rivolse ad un altro usuraio di Maddaloni, ma il debito crebbe fino a raggiungere la cifra di quasi 300 milioni di lire. Fu a questo punto che subentrarono gli esponenti del clan dei Casalesi, prima Nicola Diana, titolare di un’altra concessionaria (già posta sotto sequestro dalla Dda) cui Benenati girò gli assegni di Battaglia.

A fine giugno 2000 gli affiliati del clan Zagaria, che rispondono ai tre fratelli del boss allora latitante, si presentarono a Battaglia come i nuovi titolari del credito. L’ imprenditore chiese una dilazione non concessa, e fu costretto a vendere le bufale e molti macchinari della sua azienda consegnando in pochi giorni 80 milioni di lire. Fu malmenato nell’ ufficio di Pasquale Zagaria, e continuerà a pagare fino alla fine del 2005 andando anche in protesto per alcune cambiali non onorate. In totale l’imprenditore, tra il 1998 ed il 2000 avrebbe corrisposto per il debito originario di 50 milioni di lire una somma pari ad 1,3 miliardi di lire.

Un vero e proprio calvario anche con la burocrazia quello vissuto da Battaglia. Qualche mese dopo il Ministero dell’Interno gli ridusse la scorta entro i confini della Regione Campania, ma il Tar del Lazio ripristinò la vigilanza su tutto il territorio nazionale. “Inoltre – afferma l’ imprenditore – sono ancora in attesa di circa 800 mila euro di risarcimento dal Fondo Antiracket. Denunciare il pizzo e la camorra in Italia non conviene”, conclude Battaglia.

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