Padova, arrestato il “re delle ecomafie” del clan dei casalesi

di Redazione

 CASAL DI PRINCIPE. Un giro milionario di fatture false ed un vorticoso susseguirsi di ingenti flussi finanziari tra una società dell’Alta Padovana produttrice di impianti per la triturazione dei rifiuti ed una società casertana controllata da un imprenditore ritenuto contiguo al clan dei casalesi.

Le indagini di polizia giudiziaria, condotte dalle Fiamme Gialledella compagnia di Cittadella (Padova), hanno permesso di accertare come dietroil fallimento della T.p.a. e la messa in liquidazione delle società da questacontrollate, si celassero numerose operazioni illecite architettate e realizzateda un imprenditore padovano con il concorso della coniuge e di un avvocato affaristacasertano, Cipriano Chianese, di Parete (Caserta), considerato “eminenza grigia” delle ecomafie casalesi e già sottoposto a misure cautelari in passato.Chianese era titolare della Resit, società che gestiva alcune discariche nel territorio di Giugliano (Napoli) e con uno stabilimento nella zona industriale di Gricignano (Caserta).

La strategia criminale ha avuto inizio con l’estromissione degli altri socipadovani della Tpa attraverso l’aumento del capitale sociale, volutodall’amministratore di fatto, “finanziato” con l’immissione di tre milioni di eurodi liquidità, denaro proveniente da un’impresa casertana, successivamenterestituito attraverso false operazioni commerciali volte a nascondere lafraudolenta distrazione di capitali della Tpa.Grazie a tale ricapitalizzazione, l’imprenditore padovano ha ottenuto il pienocontrollo della Tpa, legandosi sempre più all’imprenditore casertano ed allasua società, a vantaggio della quale ha emesso complessivamente fattureper operazioni inesistenti per oltre 8 milioni di euro.

L’aumento di capitale, nonché le molteplici compravendite fittizie poste inessere dalle società gestite di fatto dall’imprenditore padovano, sono serviteinoltre a gonfiare i bilanci della Tpa ed a consentire all’amministratore diottenere da istituti bancari dell’Alta Padovana, ingenti linee di credito peroltre quattro milioni di euro, mai restituiti.

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Le molteplici distrazioni hanno portato nel 2009 al fallimento della Tpa conun passivo di oltre 25 milioni di euro e l’aggravante di aver lasciato sullastrada oltre 200 lavoratori nonostante l’iniezione di 5 milioni di euro daparte di una holding cipriota con interessenze in Svizzera.

L’amministratore della Tpa, in sintonia con l’avvocato affarista casertano,non si faceva mancare nulla: auto di grossa cilindrata, tra cui una Ferrari 360Modena ed una Ferrari Scaglietti, un’imbarcazione ormeggiata a Caorlenel veneziano e una lussuosa villa con piscina.

Ai tre responsabili le Fiamme Gialle padovane hanno notificato altrettanteordinanze di custodia cautelare, di cui due in carcere, disposte dal Tribunaledi Padova. Ora dovranno rispondere di gravi e reiterate condotte dibancarotta fraudolenta e frode fiscale.

Il “Re dei rifiuti”, già agli arresti domiciliari nell’ambito di altro procedimentopenale della Dda di Napoli, dovrà anche rispondere di concorso inbancarotta fraudolenta, con riferimento a singole condotte detrattive e frodefiscale per l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

Denunciate a piede libero altre sei personeper frode fiscale, constatato nei confronti di sei società di cui cinque venete eduna campana, una base imponibile sottratta a tassazione per 13 milioni dieuro circa, violazione all’Iva per 6 milioni di euro, fatture per operazioniinesistenti per 11 milioni di euro nonché contestato proventi illeciti per4 milioni di euro. La Tpa, con filiali negli Stati Uniti, Brasile, Australia e Turchia, lascia 200 dipendenti senza lavoro.

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