Fondazione Barbara Vito: quando il dolore personale diventa impegno sociale

di Redazione

 SANTA MARIA CV. Tante parole, diverse testimonianze, molti ricordi di parenti e amici; sembra che Barbara Vito non se ne sia mai andata.

Allegra e sorridente, tenendo per mano il suo piccolo Giuseppe, ieri ci si aspettava di vederla varcare ,da un momento all’altro, la soglia del Salone degli Specchi del Teatro Garibaldi per iniziare il racconto della sua patologia e dell’attesa di un trapianto che non avvera’ mai.

Il 7 aprile del 2010 la lunga malattia ha avuto la meglio sul suo stanco corpo. Il suo ricordo ma soprattutto il suo impegno ad onorare ogni singolo giorno di vita sono il lascito per il marito Giuseppe Brunasso e per chi l’ha conosciuta. Le persone che hanno amato la giovane donna hanno quindi deciso di investire la sua eredità affettiva nella costituzione della “Fondazione Barbara Vito onlus”, nata il 10 dicembre 2010 (giorno in cui avrebbe compiuto 40 anni), con l’obiettivo di diffondere la cultura della donazione del midollo osseo. La storia della nascita della Fondazione non può prescindere dalla storia della malattia di Barbara.

“Barbara si distingueva per il suo sorriso, per la sua vitalità, per il suo essere Amore nel senso più alto del termine” – come ha ricordato Lucio Catalano – l’ematologo che si è lasciato conquistare dalla gioia di vivere a dispetto della grave male al midollo osseo che l’affliggeva da tempo. Ulteriormente motivata dall’essere mamma, aveva così deciso di non privarsi dell’unica, anche se rischiosa, speranza di una vita normale: il trapianto. La donazione del trapianto è, tuttavia, una pratica atipica, si parla a proposito di “promessa di donazione”.

Alla facilità, anche sulla spinta emotiva, con cui si ottiene l’iscrizione al Registro Italiano Donatori Midollo Osseo, previo un semplice esame ematico, fa da contraltare il mantenimento dell’impegno che può avvenire anche ad anni di distanza. Nel mezzo c’è il processo di tipizzazione, che consiste nel ricercare una compatibilità genetica tra paziente e donatore. Le possibilità che ciò avvenga tra non consanguinei si aggirano su 1 a 100000, numeri agghiaccianti. Quando insperatamente dal Registro era emersa la disponibilità di un donatore, “il mio angelo” come lo chiamava Barbara, la donna aspettava l’ intervento ormai isolata dal mondo, dietro il vetro della camera sterile del Policlinico. Il suo, però, doveva essere un “angelo caduto”, visto che per quattro volte ha rimandato la donazione tramutando le speranze in vane illusioni che l’hanno accompagnata fino al giorno della sua morte.

“Il nostro compito preminente – ha spiegato il presidente della Fondazione, Brunasso – deve essere di “educare alla donazione di qualità”, in modo che il donatore sia consapevole e responsabile della scelta fatta anche se praticamente sarà chiamato a darne seguito solo in futuro”.

Anche il raggiungimento degli altri target statutari: incrementare il numero di donatori di midollo e di cordone ombelicale, sostenere la ricerca sulle cellule staminali, alleviare le sofferenze fisiche e psicologiche dei malati, necessita di un’educazione sociale e sanitaria fatta da specialisti. Per dar vita ad una coscienza civile, ed al contempo squarciare il velo d’ignoranza che avvolge patologie come questa, la Fondazione Barbara Vito deve puntare sulla collaborazione con esperti e professionisti nel campo medico assistenziale che già ieri hanno discettato su diverse sfaccettature della tematica.

Laozi è uno dei maggiori filosofi cinesi. Fondatore del taoismo, a lui è attribuito l’aforisma che Barbara amava tanto: “Da ogni minuscolo germoglio nasce un albero con molte fronde. Ogni fortezza si erige con la posa della prima pietra. Ogni viaggio comincia con il primo passo”. Queste parole, che suonano fatalmente come un testamento spirituale, ora dovranno segnare il percorso della Fondazione Barbara Vito.

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