“O tiempe de carcioffole arrustute”

di Redazione

 AVERSA. Continua il viaggio tra le antiche tradizioni promosso da Donato Liotto, presidente della New Dreams.

Dopo “O’ vic de scarpar” un nuovo pezzo di mosaico della nostra storia recente. Quante volte ci è capitato di ascoltare una canzone o vedere un film, ed in quello stesso istante ricordare un momento particolare della nostra vita. Troppi anni son trascorsi, il tempo ha cancellato tanti ricordi ed è difficile farli riaffiorare. Ecco, una canzone, un film, possono aiutarci a ricordare certi momenti davvero belli della nostra giovinezza.

Ad esempio, c’è un periodo che poi racchiude nel suo insieme tanti momenti della vita di ciascuno di noi. “O tiempe de carcioffole arrustute”. Certo, potrebbe suscitare ilarità questo paragone, ma continuate a leggere e capirete. Nella nostra città, nelle sue stradine, e anche nelle strade principali, anni fa c’era l’abitudine di mettere fuori al proprio “basso” o al balcone “à Furnacella” che veniva adoperata per l’appunto per metterci sopra ad arrostire i carciofi. Si copriva il tutto con un foglio di carta riciclato dal macellaio e lo si bagnava. E da quel preciso istante il fumo invadeva la strada, il balcone di fianco, il basso attiguo. Davvero non c’era scampo, “Chillu fumm” si doveva respirare. Era buona abitudine delle donne aversane accendere “à furnaccella” verso mezzogiorno, quasi all’ora “’e magnà”.

Il giorno scelto era sempre la domenica. Ed in contemporanea tutte le nostre nonne e mamme, quasi fosse un “rito comune” alla stessa ora, si davano appuntamento “annanze ‘a furnacella”. Tante massaie, donne, di ogni ceto sociale. Sin dalla mattina iniziavano il “Rito di preparazione”: si sbattevano i carciofi su di una superficie dura per farli aprire, e nel cuore si metteva olio, sale, pepe a quintali, aglio e prezzemolo a volontà. Si lasciavano riposare un po’ e verso le 12 si accendeva la furnacella bella piena di carbonella. Bastava mezz’ora, il carciofo era pronto e cotto a puntino. Veniva servito a tavola tra la gioia di tutti i commensali. Chiaramente, a fare da cornice a questo momento, nelle strade, nei vicoli di Aversa, oltre a tanto fumo, i ragazzini che gridavano, correvano, giocavano a pallone.

 Le mamme, dal balcone, con occhio vigile, lo richiamavano. Col grembiule addosso, la maglia a mezze maniche, (pure se era inverno e ci stavano zero gradi…non sentivano mai freddo) e con uno straccio appoggiato sulla spalla (praticamente “na mappina”) si portavano le mani nei fianchi, lasciavano i carciofi e urlavano a squarciagola: “Disgrazià, mò che vene patete t’aggià fa fà na paliate” e se non bastava, aggiungevano “Scurnacchià, pover’omm (anche se era un bambino già veniva etichettato come “uomo”) t’aggià scippà tutte e capill mò che saglie n’cop!”. Finito di urlare, si ritornava ad arrostire come se niente fosse. Va detto che questo era davvero un rito che nemmeno il miglior attore di teatro poteva interpretare. Solo queste donne sapevano esprimere tanta genuinità. Queste donne aversane erano le nostre mamme e le nostre nonne.

Dicevamo, finito di urlare, riprendevano con impegno ad arrostire i carciofi, e non solo. C’era da preparare il ragù con le braciole “chine e pepe, prezzemolo e aglio in quantità, un chilometro di cotone per tenerle ferme. Dopo averle mangiate, e aver percorso metri per scogliere il filo di cotone, ti rimanevano sullo stomaco, fino al lunedì. Tanto da farti passare la fame per giorni. Ma va anche detto che erano buonissime. Poi le polpette con pane raffermo di tre giorni, che veniva utilizzato per l’occasione della domenica. Non si buttava nulla! Cosa questa, che, ancora oggi, in tante famiglie aversane e non solo vien fatto. Un chilo di pane e 200 grammi di carne macinata, poca carne per la verità, a mala pane la si notava e la si sentiva sotto al palato. Ma erano tempi bui e non tutti si potevano permettere di comprare tanta carne. Bastava sapere che c’era carne e andava bene così. Poi si decideva se preparare gli gnocchi o la pasta rigorosamente fatta in casa. Per concludere il pranzo si andava a comprare il babà, o la sfogliatella e, per chi non poteva permetterselo, il dolce veniva fatto in casa.

Era domenica. E tutto doveva rispecchiare la tradizione. Capitava frequentemente, anzi “semp”, che immancabilmente di domenica la “gente che s’abbuccav” (che si auto-invitava) non mancava mai. Figli sposati con le nuore e con seguito di una caterva di bimbi, nonni, zii, generi, qualche vicino di casa che aveva contribuito a cucinare “na cosa a port io…na cosa a puort tu…e magnamme tutte assieme”. Poi l’ora cruciale del sedersi a tavola. “E seggiè so poche, addò m’assett? N’terra?”. Subito si correva ai ripari: tavule e pont (quelle che usano i muratori) duje bidune, e uscivano dieci posti. Finalmente si mangia! Che bello! Tutti assieme intorno al tavolo, a godere anche se per pochi attimi della comunione della famiglia ma anche della presenza di tanti amici. Veri valori che negli anni sono stati tramandati, ma chepurtroppo non sempre vengono ricordati.

“O’ tiemp de carcioffole arrustute”: quando le famiglie erano un tutt’uno. “Quello che è mio…è anche tuo”, “nu tuozze a pane…e magnamme pure oggi”. Quanti momenti da ricordare guardando quella furnacella che ogni tanto ci capita di vedere ancora oggi, in qualche stradina di Aversa. E le voci che sentiamo sono solo lamentele della “Signora” del piano di sopra che si lamenta per il fumo e minaccia querele. “Nel nostro condominio è indegno che avvengono queste cose. Ne parlerò con l’amministratore”. Ma noi vorremmo dire a questa signor : “Affacciatevi dal balcone signora bella, aprite naso bocca e polmoni, spalancate e port e stù balcone. Sapete perché vi diciamo ciò? Cara Signora, tenite ‘a puzze sotto ‘o naso e vi lamentate? Ma vuje non capite che questa non è puzza. Questo è profumo inebriante fatto di valori e tradizioni. Stù profum, chest’addore manche sapite cherè! Ve lo diciamo con il cuore, questo è il profumo delle nostre nonne e delle nostre mamme. Se ci pensate…può darsi che, ‘miezze a queste mamme, ci stava pure la vostra. Che mentre arrostiva i carciofi vi urlava dalla strada e vi diceva “Scurnacchià invece e fa a scema appicce ‘a furnascella e da’ na mano a mammà!”.

Guardate questa furnacella e vedrete che anche voi ricorderete. Ora però basta così…e ora di mangiare.

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