La fine del “Paganesimo”

di Redazione

 TRENTOLA DUCENTA. Le dimissioni di 11 consiglieri comunali in seno all’amministrazione di Trentola Ducenta, aprono, ma forse sarebbe meglio dire, chiudono, la crisi a danno di Nicola Pagano.

Una crisi durata due anni e mezzo, che è cominciata praticamente il giorno dopo le elezioni del maggio 2007. La coalizione guidata proprio da Pagano, “l’Arcobaleno”, aveva vinto con un margine alquanto corposo di voti, contro i gruppi capitanati da Giuseppe Apicella e Nicola Picone (5117 contro 4514 e 1037).

I vincitori portavano a casa un gruppo corposo di maggioranza (13 consiglieri, più il sindaco), ma l’eterogeneità dello stesso gruppo (non cementata, tra l’altro, da alcuna ideologia politica comune) fin da subito faceva sentire scricchiolii forieri di cattive nuove, nonostante l’immediato passaggio di Nicola Picone (Trentola Ducenta Libera) nelle fila dell’Arcobaleno. Il condottiero, Pagano, inanellava fin da subito una serie di errori di tattica e di strategia politica, vanificando in un battito di ciglia quanto di buono era stato messo nelle promesse elettorali. Il gruppo dell’Arcobaleno da subito divideva le competenze politico-amministrative da quelle proprie di un’aggregazione, multiforme ed entusiasta, composta dalle gente comune, da quello che oggi si chiama “pensiero civile”, che era stato capace di produrre voti, ma anche speranze concrete per un futuro migliore.

Con la nascita della prima giunta Pagano, veniva così decretata la morte dell’Arcobaleno come tale e cominciava la lotta spietata per poltrone, incarichi ed equilibrismi vari. Inutile dire che la vera opposizione a Pagano, fin da subito, è stata proprio la sua stessa maggioranza, anche se c’è da dire che lo stesso sindaco, che si conquistava il “titolo” di “Nicola sì, sì”, a botta di promesse e retromarce, faceva di tutto per inimicarsi fin da subito Raffaele Di Lauro, i fratelli Fabozzi e l’ingegner Nicola Russo, che tra l’altro andavano a ricoprire cariche importanti proprio nelle gestione amministrativa della città e che per motivi non del tutto noti ai più (si parla di lavori di completamento del cimitero, appalti stradali etc.), entravano in rotta di collisione con il sindaco.

Ma gli screzi non finivano certo qui e ad ogni screzio nasceva una nuova giunta. Giunte che fin dall’inizio includevano uomini e donne di spessore in città, una sorta di “captazio benevolentia” continua che cercava di porre toppe qua e là ai tanti errori tattici, che mai venivano sviscerati nel loro profondo senso politico. Ed ecco la rottura con Nicola Grassia (primo degli eletti con 384 voti), che è stato anche vicesindaco. Di seguito, il faccia a faccia con Saverio Misso, anche lui assurto allo scranno di vicesindaco, e la defenestrazione di Filippo Zagaria, altro vicesindaco. Ultimo della lunga serie, il dissapore con Luciano D’Alessio, che veniva accontentato con un assessorato per la figlia Marianna, ma con il quale si è aperto un vero e proprio baratro che molti in città fanno risalire alla vicenda del palazzo di via Roma dove abita la famiglia Pedace. Una serie di fatti di cui si sono occupati i carabinieri con sequestro di atti in Comune e una lunga coda di fatti non chiari, nei quali è stata chiamata a far luce la magistratura, con denunce specifiche, il tutto condito da una figuraccia ciclopica da parte di chi doveva tutelare e garantire trasparenza e giustizia.

In questo scenario all’opposizione non restava che aspettare. La formula era la stessa già utilizzata per far fuori il precedente sindaco, Michele Griffo, con le dimissioni della maggioranza del Consiglio: bastava solo tirare le fila e fotocopiare in parte gli stessi atti, visto che i nomi e cognomi erano praticamente quasi gli uguali, chiaro esempio che qualcosa da queste parti, almeno in politica, proprio non funziona. Così, nonostante il passaggio dell’architetto Raffaele Marino in maggioranza, fatto questo che sembrava aver ridato ossigeno all’ormai ex Arcobaleno, ecco, neanche troppo improvvisa e sicuramente preannunciata la raccolta delle dimissioni, che si era cercato di evitare in attesa che fosse Bertolaso a porre fine a Pagano, ma ciò non è stato e quindi pari pari come era stato nel recente passato. Anzi stavolta non c’è stato bisogno della scrittura dal notaio, gli undici si sono presentati alle 8.30 all’Ufficio protocollo ed hanno protocollato le dimissioni ch sono poi passate sul tavolo del sindaco.

In pratica, l’opposizione al completo (6 unità, compreso il rientro di Marino, candidato alle elezioni provinciali), i tre “riformisti” (Fabozzi-Di Lauro-Russo) e gli ormai acerrimi nemici Misso e D’Alessio (con figlia assessore dimissionario) hanno decapitato Pagano, stavolta senza pandette e paurose formule, ma a viso aperto.

La storia per adesso finisce qui, è arrivato il Commissario e si dovrà pensare se andare alle elezioni a marzo, come dice il possibilista ministro Maroni, o attendere tempi nuovi e magari sperare anche in volti e candidature nuove, per una città che comunque cresce, nonostante la malapolitica che la strangola senza pietà.

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