Nu Drilorgio di qui, nu Drilorgio di là

di Redazione

Porta NapoliIl degrado dell’ambiente, del commercio, della politica e d’ogni aspetto, anche il più recondito, della società aversana, si ripercuote, inevitabilmente, sui rapporti umani che intercorrono tra gli abitanti di questa sfortunata landa.

I normanni, notoriamente, e purtroppo troppo spesso a ragione, sono sempre stati definiti persone dalla “doppia faccia”. Persone che davanti ti riempiono di complimenti e alle spalle sono peggio di Marco Giunio Bruto Cepione e Gaio Cassio Longino. In tanti, ancora ricordano la sciagurata intervista televisiva che, tanti anni fa, fece ridere mezz’Italia, quando, di fronte all’Arco dell’Annunziata, un troglodita (per fortuna non aversano) se ne uscì con la famosissima frase: “Gli aversani sò comme l’Arc, nu drilorgio di qui, nu drilorgio di là”. La Commissione istituita, all’epoca, dalla RAI per tradurre il “villico” è ancora al lavoro…

Le origini di questa “doppiezza” di personalità, francamente, nessuno le conosce. In tanti, tra gli Azzecca-garbugli aversani, hanno provato a darne una, più o meno, dotta interpretazione. Io mi limito a prenderne atto e, senza interessarmi troppo delle origini, intendo, piuttosto, analizzarne gli effetti.

Effetti che non esito a definire devastanti. Il proverbio “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio” ad Aversa assume un significato del tutto particolare. La maggior parte dei rapporti sociali è di una superficialità inquietante e quelli più profondi, di norma, sono basati sul reciproco interesse.

Molte “amicizie” si fondano solo ed esclusivamente sul rito quotidiano della famigerata “tazzulella ‘e cafè”. I cosiddetti amici s’incontrano, scambiano quattro chiacchiere, si offrono a turno il caffé, fanno quattro commenti sulla politica, lo sport e quant’altro, si salutano e amen, arrivederci al prossimo giro. Incredibile, ma vero, questo tipo di relazione ad Aversa è definito “rapporto d’amicizia”.

C’è, poi, l’amicizia di piazza (riservata a quelli un po’ “tiratelli” di mano, una sorta d’Arpagone “dei poveri”). Questi personaggi entrano in un bar solo quando sono certi che qualcuno è già davanti la cassa, pronto a pagare. Frequentano da anni le piazze e le strade della città, ma non sono mai entrati in una casa che non sia la loro o, al massimo, quella della suocera o della nonna. Nessuno l’invita a qualsivoglia evento o cerimonia. Per costoro, infatti, non esistono parole come: auguri, cortesia, regalo di compleanno, di matrimonio ecc.

Nella variegata fauna locale c’è anche il frequentatore “esterno”. Un personaggio, in altre parole, che non entra mai in un locale pubblico tipo: bar, pasticceria, gelateria, rosticceria ecc. Si limita a guardare gli altri dall’esterno con la scusa di: fumare una sigaretta, essere a dieta, soffrire d’asma, essere accaldato, aver dimenticato a casa l’American Express Oro. Io, francamente, ritengo che il tipico “amicone aversano d.o.p.”, sia il “girotondino”.

Ma non quello caro a Nanni Moretti. Mi riferisco a quel tipico indigeno che, in compagnia d’altri due o tre autoctoni, a volte conosciuti pochi minuti prima, in auto percorre in un pomeriggio gli stessi chilometri della famosa 24 heures du Le Mans. Non si conosce la ragione di questo strano comportamento, ma si conoscono con precisione sia il tragitto sia la méta finale: da Via Salvo D’Acquisto a Via Salvo D’Acquisto, passando per Via Salvo D’Acquisto, per rimanere bloccati nel traffico di Via Salvo D’Acquisto e, poi, parcheggiare in Via Salvo D’Acquisto! Ingegnosi, non c’è che dire!

Altra specie dalla quale guardarsi attentamente è quella dei “colleghi di lavoro”. Di questi personaggi n’esistono tre tipi: gli amichetti, gli amici e gli amiconi. I primi sono di competenza di personaggi dai gusti particolari. I secondi sono dei serpenti a sonagli pronti ad iniettare il loro potente veleno nelle vene del malcapitato collega.

I terzi, con il sorriso degno di un Jack Nicholson quando interpreta Joker, il veleno l’hanno già abbondantemente iniettato. Stanno solo aspettando che faccia effetto. Sulle amicizie tra donne, mi consentirete di non pronunciarmi. L’unica cosa che mi sento di affermare è questa: se gli uomini possono diventare delle “bestie sanguinarie” le donne possono diventare dieci volte uomini. E, come diceva Peppino De Filippo: ho detto tutto!

Per quanto concerne la famigerata “amicizia politica”, quella, in pratica, che nasce per interesse, vive d’interesse e muore per interesse, lasciando nel mezzo solo un’enorme quantità di sorrisini, più ambigui di quelli della Monna Lisa, mi scuserete, se non ne parlo diffusamente.

Con la stessa velocità con la quale ho aperto l’argomento, intendo chiuderlo per non parlarne più. Un po’ per amor di patria e un po’ per evitare di soffiare sulle crisi esistenziali “comuni” a molti aversani, da un po’ di tempo a questa parte.

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