E’ mistero sui rapitori di Padre Bossi

di Antonio Taglialatela

Padre Giancarlo BossiE’ tornato in Italia, la prigionia è ormai solo un ricordo per Padre Giancarlo Bossi, il missionario sequestrato nelle Filippine per 39 giorni, dal 10 giugno al 19 luglio. Ieri è stato ascoltato per circa due ore dal procuratore aggiunto di Roma Franco Ionta, titolare del fascicolo aperto sul sequestro.

Oggi poi arriverà ad Abbiategrasso, dove vive la sua famiglia, con la quale trascorrerà un periodo di vacanza prima dell’appuntamento di settembre a Loreto con Papa Benedetto XVI. Padre Bossi conta di tornare presto nelle Filippine, prima o dopo Natale. Intanto, gli inquirenti cercano di capire i motivi del rapimento del sacerdote, il quale non è riuscito a ricostruire un identikit dei suoi sequestratori, anche se ha detto che dalle fotografie potrebbe riconoscerli. Secondo la testimonianza di Padre Bossi, lo scorso 10 giugno, mentre era nel pressi della sua parrocchia a Payao, sull’isola di Mindanao, è stato rapito da un gruppo di ribelli locali e da una cellula legata ad Abu Sayyaf. “Erano armati, erano circa dieci persone, anche se alcuni si alternavano e si sono presentati come appartenenti al gruppo di Abu Sayyaf”, ha riferito. Ma potrebbe anche trattarsi di informazioni false da parte dei rapitori, fornite per depistare le indagini. Molti indizi portano a sospettare il Fronte Moro per la liberazione islamica (Fmli), il principale gruppo separatista delle Filippine. La cosa certa è che i sequestratori prendevano ordine da qualcuno mediante il cellulare e avevano chiesto un riscatto di 1 milione di dollari. “I loro nomi erano tutti arabi”, ha detto il sacerdote, al quale sono state scattate foto, segno di una “trattativa”. A tal proposito, si vuole accertare se sia stato pagato un riscatto o meno. Padre Bossi è stato rilasciato lungo una strada asfaltata, che lui ha detto di non aver mai visto prima, e poi è stato preso in custodia della polizia filippina.

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