Camorra, il clan dei casalesi gestito dai “figli d’arte” nell’Agro Aversano: 17 arresti

di Redazione

Nella mattinata del 22 ottobre, tra le province di Napoli, Caserta e Grosseto, i carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia partenopea, nei confronti di 17 persone, ritenute, a vario titolo, responsabili di associazione di tipo mafioso alla fazione Schiavone del clan dei Casalesi, estorsione, traffico di sostanze stupefacenti e altro. In arresto sono finite 17 persone. 14 in carcere: Salvatore Fioravante, 46 anni; Giacomo Capoluogo, 62; Giuseppe Cantone, 30; Oreste Diana, 28; Nicola Fiorillo, 48; Arcangelo D’Alessio, 39; Manuel Verde, 27; Pasquale Foria, 44; Salvatore Della Volpe, 25; Mariano Folliero, 58; Nicola Fruguglietti, 44; Tregim Erceku, 44; Fidai Neziri, 39; Altin Neziri, 42. Ai domiciliari: Di Costanzo, 30; Luca Martino, 44; Antonio Cattolico, 68.

La misura cautelare colpisce elementi di spicco del clan, tra i quali, Giacomo Capoluongo, ritenuto l’attuale cassiere dell’organizzazione camorristica, Salvatore Fioravante, referente nella zona di Trentola Ducenta e San Marcellino per quanto riguarda le estorsioni e lo spaccio di stupefacenti, Oreste Diana, figlio di Giuseppe, e Giuseppe Cantone, figlio di Raffaele, i quali – avvalendosi del potere intimidatorio dell’appartenenza al clan – si sono imposti nelle estorsioni e nella gestione del traffico di sostanze stupefacenti nell’agro aversano.

I provvedimenti restrittivi (14 in carcere e 3 agli arresti domiciliari) costituiscono il risultato di un’attività investigativa, coordinata dalla Procura antimafia di Napoli, avviata nell’ottobre 2016, che ha consentito di accertare che: Giacomo Capoluongo ha gestito la cassa del clan, raccogliendo nell’agro aversano le entrate ricavate dalle estorsioni, dai traffici di droga e di armi e assumendo un ruolo di prim’ordine, divenendo saldo punto di riferimento per gli altri appartenenti e affiliati alla fazione Schiavone; Oreste Diana “ha continuato le attività criminali del clan, rimanendo sempre fedele, come suo padre, alla famiglia Schiavone”. Indicato come “persona di fiducia di Ivanhoe Schiavone” si è occupato direttamente della conduzione delle piazze di spaccio di stupefacenti nonché della gestione di un punto scommesse sportive, intestato a prestanomi, con sede a Trentola Ducenta; Giuseppe Cantone, insieme a Oreste Diana e Salvatore Della Volpe, è stato molto attivo sia nelle estorsioni (insieme a Arcangelo D’Alessio e Manuel Verde) che nella gestione delle piazze di spaccio delle sostanze stupefacenti; Salvatore Fioravante, detto “Porcellino”, attualmente ristretto presso la casa circondariale di Terni per altro motivo, è stato un elemento apicale dell’organizzazione, operando soprattutto nel settore dello spaccio di stupefacenti e nell’approvvigionamento di armi.

Per quanto riguarda le estorsioni, il gruppo ha taglieggiato imprenditori edili, commercianti e artigiani di Aversa, Trentola Ducenta e Lusciano, con richieste che arrivavano fino a 60mila euro o che talvolta consistevano anche in prestazioni d’opera (come ad esempio ristrutturazioni di abitazioni). Dall’attività è chiaramente emerso il potere di soggezione del clan patito dagli imprenditori dell’agro aversano, spesso reticenti anche davanti all’evidenza delle prove acquisite. Le piazze di spaccio, controllate da Fioravante, erano materialmente gestite da Diana e Cantone, con la stretta collaborazione di Della Volpe. Fioravante aveva contatti su Secondigliano da dove faceva arrivare la cocaina attraverso due corrieri, anch’essi destinatari dell’odierna misura cautelare. Sempre per lo spaccio di stupefacenti, un altro canale di rifornimento è stato individuato in un gruppo di albanesi, i quali hanno fornito alla fazione Schiavone operante nell’agro aversano armi e droga importate dall’Albania attraverso alcuni porti della Puglia.

Il gruppo, perfettamente organizzato con ruoli e compiti specifici, oltre a fornire marijuana al clan, con la complicità di un italiano, gestiva anche proprie piazze di spaccio nella provincia di Caserta (Mondragone e Castel Volturno), sulle quali l’attività d’indagine ha permesso di far luce. Allo stesso tempo è stato appurato che alcuni albanesi del gruppo, oltre alla droga, sfruttavano la prostituzione di donne bulgare e rumene nelle province di Napoli e Caserta. L’attività investigativa ha quindi confermato la piena attività del clan dei casalesi, con particolare riferimento ai comuni di Trentola Ducenta, San Marcellino e Lusciano.

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