‘Ndrangheta in Emilia, 16 arresti: c’è anche presidente Consiglio di Piacenza

di Redazione

Vasta operazione, con 16 arresti e oltre 60 indagati, nei confronti di una cosca di ‘Ndrangheta operante in Emilia Romagna, storicamente legata alla nota famiglia mafiosa dei Grande Aracri di Cutro. I provvedimenti, emessi dal gip del Tribunale di Bologna, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, sono eseguiti dai poliziotti della Squadra mobile di Bologna, in collaborazione con quelle di Parma, Reggio Emilia e Piacenza, in varie province dell’Emilia Romagna.

Nell’ambito dell’operazione, denominata “Grimilde”, sono impegnati circa 300 tra donne e uomini della Polizia di Stato appartenenti a tutti gli uffici investigativi dell’Emilia Romagna, al Reparto mobile di Bologna, al Reparto volo Emilia Romagna, al Reparto prevenzione crimine Emilia Romagna, alle unità cinofile. Eseguite, in varie città d’Italia, anche 100 perquisizioni nei confronti di coloro che, pur non essendo direttamente destinatari del provvedimento restrittivo, sono risultati, nel corso dell’indagine, collegati al gruppo ‘ndranghetistico operante in Emilia Romagna.

Un’inchiesta che scuote ancora una volta l’Emilia, non più immune dalle infiltrazioni mafiose come ha messo in luce da tempo il processo “Aemilia”. I destinatari del provvedimento restrittivo sono accusati, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso estorsione, tentata estorsione, trasferimento fraudolento di valori, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, danneggiamento, truffa aggravata dalle finalità mafiose. Tra questi figurano elementi di primo piano del sodalizio ‘ndranghetistico emiliano, tra i quali Salvatore, Francesco e Paolo Grande Aracri, ritenuti ai vertici del clan operante nelle province di Reggio Emilia Parma e Piacenza.

Arrestato anche Giuseppe Caruso, attuale presidente del Consiglio Comunale di Piacenza, ritenuto legato al gruppo mafioso. Il politico, esponente di Fratelli d’Italia, risulta però coinvolto nel suo ruolo di funzionario dell’Agenzia delle Dogane. Nel dialogo intercettato Caruso, che secondo il gip ha un ruolo “non secondario nella consorteria”, spiegava al boss Giuseppe Strangio che, in relazione alla funzione che all’epoca rivestiva all’ufficio delle Dogane di Piacenza, avrebbe dovuto cercare di mantenere un certo distacco da Salvatore (per gli inquirenti Salvatore Grande Aracri) perché questi, come il padre Francesco, era controllato dalle forze dell’ordine. Sarebbe quindi stato più utile per la consorteria, ricapitola il Gip, che Caruso non apparisse all’esterno come un associato, “al fine di poter agire nell’interesse del sodalizio con più efficacia”.

“Ultimamente – si legge nella conversazione di Caruso, intercettata – Salvatore stesso (sottinteso: mi dice) ‘stai a casa, lasciami stare, vediamoci poco’. Perché? Perché è giusto che sia così… nel senso che io dal di fuori se ti posso dare una mano te la do, compà, perché al di fuori mi posso muovere…guardo, dico, se c’è un problema, dico: ‘stai attento’. Altrimenti, dopo che si viene ‘bruciati’, la gente ti chiude le porte, la gente mi chiude le porte… che vuoi da me… se tu sei bruciato non ti vuole… hai capito quello è il problema…quindi allora se tu ci sai stare è così… loro invece a tutti i cani e i porci è andato a dire che io riuscivo… che a Piacenza io riuscivo a fare i libretti, le cose”.

Caruso venne eletto nel 2017 in Consiglio comunale. La conversazione risale a un periodo precedente. Intercettato nel 2015 mentre parlava con il fratello Albino, anche lui arrestato, Caruso dice: “Io con Salvatore gli parlo chiaro, gli dico… Salvatò, non la dobbiamo affogare sta azienda, dobbiamo cercare di pigliare la minna e succhiare o no?”. Secondo il gip, Caruso con quelle parole stava “illustrando in modo assolutamente genuino quale fosse il reale intento e scopo dell’organizzazione criminale nell’aiutare la società Riso Roncaia Spa”. In un altro passaggio dell’ordinanza, il giudice sottolinea come i fratelli Caruso abbiano fornito “in più occasioni la confessione stragiudiziale della loro appartenenza al sodalizio criminoso, comportandosi di conseguenza”.

Per Giorgia Meloni, leader di Fdi, Caruso è fuori dal partito: “Il coinvolgimento di Giuseppe Caruso, anche se non legato alla attività politica ma al suo ruolo di funzionario dell’Agenzia delle Dogane che fa capo al Ministero dell’Economia, ci lascia sconcertati. Auspichiamo che Caruso dimostri la sua totale estraneità in questa vergognosa vicenda. Ribadiamo con assoluta fermezza che in Fratelli d’Italia non c’è spazio per nessuna mafia e per noi, come noto, chi fa politica a destra e tradisce l’Italia merita una condanna doppia. Anche per questo Fratelli d’Italia è pronta a costituirsi parte civile nel processo per difendere la sua immagine e la sua onorabilità. Finché non sarà chiarita la sua posizione, Giuseppe Caruso è sollevato da ogni incarico e non può essere più membro di Fratelli d’Italia”.

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