Perugia, giovani migranti ridotte in schiavitù: arrestati marito e moglie

di Redazione

Dalla Nigeria all’Italia attraverso violenze, vessazioni e barconi della speranza: private dei documenti, ridotte in schiavitù e, una volta arrivate a Perugia, costrette a prostituirsi per strada. La squadra mobile del capoluogo umbro, al termine di una lunga e articolata attività di indagine coordinata dal pubblico ministero Manuela Comodi, ha arrestato, su disposizione del gip, Lidia Brutti, due cittadini nigeriani, marito e moglie, lui di 45 anni, lei 40, accusati di associazione a delinquere finalizzata ai reati di riduzione in schiavitù e tratta di esseri umani, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e sfruttamento della prostituzione, il tutto con l’aggravante della trans nazionalità. Indagato in stato di libertà un terzo nigeriano, 25 anni, il cui ruolo è considerato dagli investigatori meno centrale.

E’ stato il coraggio di una delle vittime a far scattare l’indagine: la ragazza, dopo essersi rifiutata di prostituirsi, è riuscita a rimpossessarsi del suo documento e a scappare. Secondo quanto emerso dalle indagini, la coppia, con un bambino di circa un anno e mezzo, entrambi regolari sul territorio nazionale, con piccoli precedenti penali e da tempo residenti a Perugia, dove lei gestiva un “african shop” nella zona di Fontivegge, era al vertice di un più ampio sodalizio criminale che, con la complicità di altri soggetti operanti in Nigeria e in Libia, organizzava la tratta di giovani donne africane. Era lo stesso 45enne nigeriano, secondo quanto riferito dagli investigatori, a “selezionare” le giovani donne nel loro paese di origine, quasi sempre in situazioni di degrado e difficoltà, spesso offerte ai loro aguzzini dagli stessi genitori.

Da qui il lungo “viaggio della speranza”. Dall’attività di indagine è emerso che le ragazze dopo aver attraversato il deserto del Sahara venivano fatte arrivare in Libia, dove restavano a volte anche per lunghi periodi, rinchiuse in ghetti, sottoposte a violenze e privazioni di ogni genere, lasciate senza cibo. Una violenza fisica e psicologica, esercitata, come spesso accade in questi casi, con lo spauracchio dei riti voodoo. Quindi l’arrivo in Italia, a bordo dei barconi (gli investigatori ritengono che una delle ragazze reclutate abbia perso la vita proprio durante la traversata) e con in tasca il numero di telefono dei loro aguzzini con l’ordine di contattarli.

E’ da questo momento in poi, secondo la polizia, che la coppa arrestata entrava in «possesso» delle ragazze, che venivano private di telefono, documenti e costrette a prostituirsi per strada per riscattare se stesse. Una libertà da pagare con cifre che arrivavano anche a 10 mila euro, per rimborsare le spese sostenute dagli organizzatori per il loro viaggio dall’Africa all’Italia, con l’obbligo di consegnare alla coppia la metà di quanto guadagnato per strada.

Una volta a Perugia, dopo due o tre giorni passati recluse in casa, le giovani vittime venivano portate in strada, solitamente nella zona di Pian di Massiano, dalla “madame” che, dopo aver fornito loro vestiti, preservativi e creme, le accompagnava e tornava a riprenderle. È stato, come detto, il coraggio di una delle vittime, una giovane poco più che ventenne, a far scattare l’indagine della polizia. La stessa, dopo essersi rifiutata di prostituirsi, è riuscita a rimpossessarsi del suo documento e a scappare. In treno è riuscita a raggiungere il centro di accoglienza dove era stata al suo arrivo in Italia e qui, tramite un amico, si è convinta a denunciare l’accaduto. Quindi le indagini della polizia e l’arresto della coppia.

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