Ocse: Pil procapite dell’Italia meno 30% dei grandi Paesi

di Redazione

Roma – “La mancata ripresa dalla recessione sta portando il reddito pro capite dell’Italia a scendere ancora più in basso rispetto alle principali economie dell’Ocse”. Lo scrive l’organizzazione nel suo rapporto “Going for Growth” stimando che il Pil pro capite italiano nel 2013 era inferiore del 30% rispetto alla media dei primi 17 Paesi Ocse. Il gap è cresciuto: nel 2007 era del 22,7%. Per l’Ocse, andando avanti con le riforme strutturali intraprese dopo la crisi, e concentrandosi sulle “migliori pratiche esistenti” i Paesi Ocse potrebbero “ottenere un aumento fino al 10% del livello di Pil pro capite a lungo termine (pari a un incremento medio di circa 3.000 dollari pro capite).

L’Italia deve “migliorare l’efficienza della struttura fiscale”, perché “il peso delle tasse per i lavoratori a basso salario è alto, il codice fiscale è troppo complicato e l’evasione è alta”. Al nostro Paese viene raccomandato, in particolare, di ridurre “le distorsioni e gli incentivi a evadere, riducendo i tassi di imposizione nominali elevati e abolendo molte spese fiscali”, e “l’instabilità della legislazione, anche evitando misure temporanee”. Inoltre, secondo l’Ocse l’Italia dovrebbe “continuare a ridurre la tassazione del lavoro, quando la situazione di bilancio lo permette, puntando a incoraggiare domande e offerta di lavoro”.

Nel suo rapporto l’Ocse critica poi fortemente il nostro Paese sulla scuola. L’Italia deve “migliorare equità ed efficienza” del suo sistema educativo, che “ha un basso rapporto tra qualità e costo e dovrebbe fare di più per migliorare le opportunità per i meno qualificati”. In particolare l’organizzazione francese critica l’Italia per la spesa per l’istruzione “scesa ben al di sotto della media” e per i numerosi cambi, “tre in quattro anni”, al vertice dell’Indire, l’organismo per la valutazione della qualità della didattica.

Contemporaneamente alla diffusione del rapporto Ocse arrivano anche i dati dell’Istat sui conti economici regionali. Il Mezzogiorno, con un Pil pro capite di 17,2 mila euro, presenta “un differenziale negativo molto ampio” con il resto del Paese: il suo livello è inferiore del 45,8%, quindi quasi dimezzato, rispetto a quello del Centro-Nord. La provincia più ricca è Milano. Tra le zone più povere d’Italia c’è invece il Medio Capidano (Sanluri e Villacidro). Nel dettaglio, “nel 2012 Milano è la provincia con i più elevati livelli di valore aggiunto per abitante, pari a 46,6 mila euro; segue Bolzano”. Le province che hanno “i più bassi livelli sono Medio Campidano e Agrigento, con circa 12 mila euro, e Barletta-Andria-Trani e Vibo Valentia con meno di 13 mila euro”.

Dai dati dell’Istat, relativi al 2012, emerge inoltre che un quarto dei ‘portafogli’ degli italiani è sotto i 10mila euro, mentre meno di 3 su 100 sforano i 70mila. In particolare: “Oltre la metà dei redditi lordi individuali (54%)” è tra 10.001 e 30.000euro annui, il 25,8% è sotto i 10.001 e il 17,6% è tra 30.001 e 70.000. Solo il 2,4% supera i 70.000 euro”. L’Istat rileva anche che in Italia il costo medio del lavoro dipendente, al lordo delle imposte e dei contributi sociali, è di 30.953 euro all’anno. Il lavoratore, sotto forma di retribuzione netta, ne percepisce poco più della metà (il 53,3%), ovvero 16.498 euro.

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