Addio a Oscar Luigi Scalfaro, il presidente del “non ci sto”

di Redazione

Oscar Luigi ScalfaroROMA. Si è spento all’età di 93 anni, nella sua abitazione romana, il presidente emerito della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro.

I funerali saranno celebrati in forma privata lunedì 30 gennaio, alle 14, nella chiesa di Santa Maria in Trastevere, nel cuore della Capitale. La camera ardente sarà allestita, sempre lunedì, nella chiesa di Sant’Egidio, dalle 10.30 alle 13.30.

Immediato il cordoglio dalle più alte cariche dello Stato e dal mondo politico italiano. “È con profonda commozione – ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, – che rendo omaggio alla figura di Oscar Luigi Scalfaro nel momento della sua scomparsa, ricordando tutto quel che egli ha dato al servizio del Paese, e l’amicizia limpida e affettuosa che mi ha donato. È stato un protagonista della vita politica democratica nei decenni dell’Italia repubblicana, esempio di coerenza ideale e di integrità morale”. “Si è identificato con il Parlamento, – ha aggiunto Napolitano, che in mattinata ha reso visita alla salma – cui ha dedicato con passione la più gran parte del suo impegno. Da uomo di governo, ha lasciato l’impronta più forte nella funzione da lui sentitissima di ministro dell’Interno. Da presidente della Repubblica, ha fronteggiato con fermezza e linearità periodi tra i più difficili della nostra storia. Da uomo di fede, da antifascista e da costruttore dello Stato democratico, ha espresso al livello più alto la tradizione dell’impegno politico dei cattolici italiani”.

Nato a Novara il 9 settembre del 1918, è stato un politico e magistrato italiano, nono Presidente della Repubblica dal 1992 al 1999. Fu eletto deputato ininterrottamente dal 1946 al 1992, quando, durante la sua presidenza della Camera dei deputati, fu eletto Presidente della Repubblica. In precedenza era stato Ministro dell’Interno nel Governo Craxi I. Era senatore a vita aderente al Partito Democratico.

Insieme a Sandro Pertini (che presiedette come membro anziano il Senato nel 1987) ed Enrico De Nicola (presidente della Camera, del Senato e della Repubblica dal 1 gennaio all’11 maggio 1948), Scalfaro ha ricoperto tutte le tre più alte cariche dello Stato: è infatti stato Presidente della Repubblica e Presidente della Camera, oltre ad avere presieduto provvisoriamente il Senato all’inizio della XV Legislatura.

Il padre, il barone Guglielmo, era nato a Napoli il 21 dicembre 1888 da madre napoletana, mentre la madre, Rosalia Ussino, era piemontese; ciò indusse Scalfaro a definirsi, nell’occasione di una visita di stato negli Stati Uniti, figlio dell’Unità d’Italia. Ancora dodicenne si iscrisse alla GIAC (Gioventù Italiana di Azione Cattolica), appartenenza che ha sempre ostentato (portò sempre all’occhiello della giacca il distintivo tondo dell’Azione Cattolica visibile anche quando, appena eletto alla massima carica pubblica italiana, fece in televisione le brevi dichiarazioni di rito).

Si formò in ambienti cattolici e sin da giovanissimo partecipò all’attività dell’Azione Cattolica, in un periodo in cui questa organizzazione veniva avversata dal fascismo. In particolare fu attivo negli ambienti della Fuci, che in quegli anni raccolse i maggiori esponenti della futura classe dirigente cattolica. Durante la lotta partigiana, ebbe contatti con il mondo degli antifascisti.

Si laureò in Giurisprudenza nel 1941 all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ed entrò in magistratura nel 1943, prestando il giuramento di fedeltà al fascismo. Il 26 dicembre 1943 sposò a Novara Maria Anna Inzitari (1924-1944), dalla quale ebbe una figlia, Mariannuzza Giannarosa (nata a Novara 27 novembre 1944). Dopo il 25 aprile 1945 fece richiesta per entrare nelle Corti d’Assise straordinarie, istituite con giuristi volontari il 22 aprile (per una prevista durata di sei mesi) su richiesta degli angloamericani per porre un freno ai processi sommari del dopoguerra contro i fascisti, talora degenerati in veri e propri linciaggi [5]. Queste corti vennero chiamate Tribunali speciali.

Dal primo maggio 1945 fu “consulente tecnico giuridico” del Tribunale d’emergenza di Novara, definito da Scalfaro stesso “un tribunale militare di partigiani”, successivamente, quando le Corti di Assise speciali di Novara si trovarono con una quantità insufficiente di magistrati, Scalfaro si trovò a rivestirvi anche il ruolo di pubblico ministero.

Arrivò, prima dell’inizio della carriera politica, alla carica di segretario provinciale (Novara) dell’associazione. Alle elezioni per l’Assemblea Costituente si presentò candidato come indipendente nella lista della Dc, dopo che a livello nazionale era stato deciso l’appoggio aperto della gerarchia ecclesiastica e delle organizzazioni cattoliche al partito, in funzione di resistenza alla possibile conquista del potere da parte dei social-comunisti (Fronte popolare). Fu eletto con oltre quarantamila preferenze, numero rilevante per quei tempi.

Lasciò la toga per la politica nel 1946: fu eletto a Torino, fra i più giovani nelle file della Democrazia Cristiana, all’Assemblea Costituente che doveva redigere una nuova Carta Costituzionale. In seguito dichiarò in un libro di non avere mai avuto vocazione per la politica e di essersi trovato alla Costituente senza avere alcuna attrattiva per “quel mestiere”.

Anticomunista ed antifascista, si iscrisse finalmente alla Dc e partecipò alla battaglia politica del 1948 senza abbandonare per questo l’Azione Cattolica che, presieduta da Luigi Gedda, appoggiava la Dc con Comitati Civici istituiti per l’occasione; ottenne oltre cinquantamila preferenze.

Politicamente Scalfaro fu sempre schierato all’ala destra della Democrazia Cristiana. Ricoprì l’incarico di Ministro dei Trasporti nel primo governo presieduto da Giulio Andreotti nel 1972 e quello di Ministro della Pubblica Istruzione nel secondo governo Andreotti lo stesso anno. Dopo un periodo di “ombra”, dovuto all’avvento del centrosinistra, nell’agosto 1983 fu chiamato da Craxi a ricoprire una delle cariche più delicate e prestigiose del governo: la titolarità del ministero dell’Interno, carica che mantenne ininterrottamente fino al luglio del 1987. Il suo periodo al Viminale fu segnato da eventi di una certa gravità, fra i quali la Strage del Rapido 904 (dicembre 1984), l’omicidio da parte delle Brigate Rosse dell’economista Ezio Tarantelli (marzo 1985) ed appunto la recrudescenza dell’attività della mafia che nel 1985 tentò l’omicidio del giudice Carlo Palermo ed uccise importanti esponenti delle forze dell’ordine in Sicilia.

Nel periodo di massima polemica durante Tangentopoli, in un fax da Hammamet Bettino Craxi gli imputò la proposta di emanazione della direttiva Pcm numero 4012/1 del 10 gennaio 1986, in materia di gestione delle spese, che nel corso delle indagini sullo scandalo Sisde si riteneva contenere “un aspetto discutibile e rischioso”. Nel 1989 fu nominato presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla ricostruzione in Irpinia dopo il terremoto del novembre 1980: un incarico che impegnò Scalfaro per due anni.

Eletto Presidente della Camera dei deputati il 24 aprile del 1992, restò per poco tempo in questa carica. Francesco Cossiga si dimise da Presidente della Repubblica nello stesso mese e l’elezione del successore si trascinò in una serie di votazioni parlamentari senza risultato (Forlani e Vassalli non raggiunsero il quorum); la strage di Capaci dette uno scossone alla vita politica italiana e Scalfaro, sino ad allora considerato un outsider nella corsa al Quirinale, fu eletto alla massima carica istituzionale del Paese subito dopo il tragico evento.

Il 25 maggio 1992 Scalfaro fu eletto Capo dello Stato (al sedicesimo scrutinio) con 672 voti, espressi dai democristiani, dai socialisti, dai socialdemocratici, dai liberali, dal Pds, dai Verdi, dai Radicali e dalla Rete. La Lega Nord diede 75 voti al suo candidato Gianfranco Miglio, il Movimento Sociale 63 voti a Cossiga, mentre Rifondazione Comunista diede 50 voti allo scrittore Volponi. Una delle presidenze più controverse della storia repubblicana: benché fortemente sostenuto dai partiti politici sopravvissuti al turbine di Tangentopoli, ha ingenerato forti contrapposizioni, fronteggiate con una decisione che nessuno avrebbe saputo prevedere da un politico approdato quasi per caso al Quirinale.

Accompagnò la riluttanza di Craxi a dimettersi dalla segreteria del Psi con le parole “chi ha salito le scale del potere deve saperle discendere con uguale dignità”. Il rifiuto di firmare il decreto-legge Conso sul finanziamento illecito dei partiti lo mise alla testa del moto popolare di ostilità verso il “Parlamento degli inquisiti”, e dopo il referendum che abrogò il sistema proporzionale fu tra quelli che spinse per una legge elettorale nuova, in cui il Parlamento operasse “sotto dettatura” dell’esito elettorale.

Nel 1993 scoppiò lo “scandalo Side”, relativo ad una gestione di fondi riservati che aveva tutta l’aria di essere stata gioiosamente disinvolta. Partita dalla bancarotta fraudolenta di un’agenzia di viaggi i cui titolari erano funzionari del servizio segreto del Viminale, un’inchiesta della magistratura fece emergere fondi “neri” per circa 14 miliardi depositati a favore di altri 5 funzionari. I funzionari fornivano versioni di uso “regolare” dei fondi riservati, ma in ottobre uno degli indagati, Riccardo Malpica, ex direttore del servizio ed agli arresti da due giorni, affermò che Mancino e Scalfaro gli avrebbero imposto di mentire; aggiunse inoltre che il Sisde avrebbe versato ai ministri dell’interno 100 milioni di lire ogni mese.

La sera del 3 novembre 1993 Scalfaro si presentò in televisione, a reti unificate e interrompendo la partita di Coppa Uefa tra Cagliari e la squadra turca del Trabzonspor, con un messaggio straordinario alla nazione nel quale pronunciò l’espressione “Non ci sto”, parlò di “gioco al massacro” e diede una chiave di lettura dello scandalo come di una rappresaglia della classe politica travolta da Tangentopoli nei suoi confronti. Nei giorni successivi i funzionari furono indagati per il reato di attentato agli organi costituzionali, accusa dalla quale furono prosciolti nel 1996 per decorrenza dei termini (ma senza formula piena). Nel 1994 i funzionari furono poi condannati, dimostrando la fondatezza della accuse di Scalfaro.

Dopo le elezioni del 1994, in seguito alla vittoria elettorale del Polo delle Libertà, al momento in cui Silvio Berlusconi stava predisponendo la lista dei ministri, Scalfaro ritenne sgraditi alcuni nomi, tra cui spiccava la nomina di Cesare Previti (che era indagato ma non ancora condannato) ancora al Ministero della Giustizia, spostato alla Difesa e sostituito da Alfredo Biondi nel ruolo di Guardasigilli.

Questa ed altre circostanze (tutte riconducibili al cosiddetto “ribaltone” del dicembre 1994, con la caduta del primo governo Berlusconi) portarono nel centrodestra alla nascita di una diffusa ostilità verso il Capo dello Stato, accentuata dopo la vittoria del centrosinistra nelle elezioni del 1996. La legge sulla “par condicio” (termine da lui stesso impiegato in più di una pubblica esternazione, per affermare l’esigenza della parità delle armi comunicative sulle reti televisive per tutti gli attori politici) fu vista come un attacco alla potenzialità più dirompente del sistema mediatico di Berlusconi.

Terminato il suo mandato da Capo dello Stato, Scalfaro divenne Senatore a vita in quanto ex Presidente della Repubblica, aderendo al gruppo misto, appoggiando i governi di centrosinistra.

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