Erba, i giudici: “Olindo e Rosa agirono con lucidità e spietatezza”

di Redazione

I coniugi RomanoMILANO. Odio e volontà di “umiliare i potenti Castagna”, questo il movente che, secondo i giudici della prima Corte d’Assise d’appello di Milano, ha spinto Olindo Romano e Rosa Bazzi a compiere la strage di Erba.

Lo scrivono i giudici nelle oltre 90 pagine di motivazioni della sentenza emessa il 20 aprile scorso, che ha confermato le condanne all’ergastolo e a tre anni di isolamento diurno per i coniugi, autori del quadruplice omicidio nel dicembre del 2006.

La strage di Erba è stata “una vendetta” compiuta con “spietatezza” da due soggetti, Olindo Romano e Rosa Bazzi, che hanno agito con “una notevole lucidità” e mossi da un “accumulo di odio e rancore non tanto nei confronti di “Marzouk, quanto contro i Castagna, e Raffaella in particolare”. Lo scrivono i giudici della Prima Corte d’Assise d’Appello di Milano nelle motivazioni della sentenza con cui hanno confermato l’ergastolo per i due coniugi.

Nella parte delle motivazioni in cui i giudici spiegano che i due erano capaci di intendere e di volere, e chiariscono i motivi del rigetto della perizia psichiatrica richiesta in secondo grado dalla difesa, i magistrati fanno anche un discorso più generale sul cruento fatto di sangue. “Nel comune sentire – si legge nelle motivazioni – vi è senz’altro la tendenza a riconoscere che un fatto efferato come quello di Erba è possibile metterlo in atto solo se viè una forma di anomalia psichica rilevante, ma ciò è frutto della tendenza a difendere la propria ‘normalita” con l’attribuire solo a soggetti infermi di mente la capacità di commettere gesti di tale ferocia”. Il collegio, presieduto da Maria Luisa Dameno, spiega che nella vita di Olindo e Rosa, prima del quadruplice omicidio, “non si ravvisano elementi che indichino un disequilibrio, un’alterazione patologica dei rapporti tra di loro e con l’esterno”.

I giudici poi contestano il ritratto fatto dalla difesa dei Romano rappresentati come “persone ingenue, semplici e sprovvedute”. Per il collegio d’appello, invece, Olindo “non è certo un soggetto culturalmente sprovveduto, come emerge dalla capacità di raccontare i fatti da lui commessi, di rendere conto dei suoi appunti nella Bibbia dello stato delle indagini e dell’andamento delle udienze, di sostenere, nelle dichiarazioni spontanee in sede dibattimentale, l’estarneità sua e della moglie alla strage”. “Rosa – proseguono i giudici – è meno capace di esprimere le sensazioni e di raccontare i fatti ma ha una forte personalità, sempre determinata, anche quando decide di confessare, a narrare versioni non credibili, per poter confondere comunque quanto realmente accaduto”.

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