Cesa, duplice omicidio dei fratelli Marrandino: a giudizio anche moglie, figlio e complici di Mangiacapre

di Ettore Torrese

Cesa (Caserta) – La vicenda giudiziaria che ha seguito il duplice omicidio dei fratelli Claudio e Marco Marrandino non si è chiusa con la condanna all’ergastolo del responsabile, Antonio Mangiacapre. Ora un nuovo procedimento porta alla sbarra familiari e conoscenti, chiamati a rispondere di aver tentato di coprire le tracce di quel delitto maturato in pochi istanti e sotto gli occhi delle forze dell’ordine.

Favoreggiamento e occultamento di armi – Il 20 gennaio prossimo quattro persone compariranno davanti al giudice dell’udienza preliminare del tribunale Napoli Nord, Mariangela Guida. Si tratta della moglie del killer,  Giuseppina Bortone, 53 anni, del figlio Vincenzo Mangiacapre, 30 anni, di Mario Cirillo (32) e Francesco Cirillo (48), accusati di aver agito in concorso per aiutare Antonio Mangiacapra eludere le indagini e occultare le armi nell’abitazione di Mangiacapre dopo il delitto. Le accuse sono di di favoreggiamento personale, porto e detenzione di arma da fuoco e ricettazione della pistola Beretta modello 84 calibro 9 corto utilizzata per l’omicidio, oltre che della detenzione illegale di ulteriori armi. Anche in questo procedimento le famiglie delle vittime si costituiranno parte civile, assistite dagli avvocati Dario Carmine Procentese e Luigi Poziello del Foro di Napoli Nord.

La condanna all’ergastolo – Lo scorso luglio Antonio Mangiacapre, 54 anni, operaio di Cesa, è stato condannato all’ergastolo con 36 mesi di isolamento diurno per l’omicidio volontario dei fratelli Marrandino. La sentenza è stata emessa dalla Corte di Assise di Napoli, seconda sezione penale, presieduta da Pasquale Cristiano, con a latere Paola Valeria Scandone, al termine di un dibattimento disposto dalla Procura di Napoli Nord e celebrato nel capoluogo partenopeo per l’indisponibilità delle aule ad Aversa. La Corte ha accolto integralmente la richiesta del pubblico ministero Antonio Vergara, nonostante la difesa avesse sottolineato in aula il peso della confessione e della collaborazione ai fini del giudizio.

La lite e il raptusMarco, avvocato di 39 anni, e Claudio, imprenditore edile di 29, furono uccisi il 15 giugno 2024 in via Astragata, al confine tra Succivo e Orta di Atella, nei pressi dello svincolo della statale Nola–Villa Literno. La ricostruzione degli inquirenti ha escluso qualsiasi faida o movente preordinato, contrariamente alle voci che si erano diffuse subito dopo l’efferato delitto. A scatenare la furia omicida sarebbe stata una discussione per motivi di viabilità nei pressi dello svincolo. Mangiacapre esplose diversi colpi d’arma da fuoco contro il Suv Bmw bianco su cui viaggiavano i due fratelli: prima contro Claudio, che era alla guida, poi contro Marco, che aveva tentato di allontanarsi. L’intera scena si consumò sotto gli occhi di una pattuglia dei carabinieri, circostanza che consentì una rapida identificazione del responsabile.

Le armi e la confessione – L’operaio, noto per la sua passione per le armi, deteneva illegalmente un vero e proprio arsenale: nella sua abitazione furono rinvenuti un fucile a canne mozze con matricola abrasa, una pistola semiautomatica e oltre 100 chilogrammi di bossoli. L’arma utilizzata per il duplice omicidio, però, non è mai stata recuperata. In un primo momento Mangiacapre tentò di costruirsi un alibi, sostenendo di trovarsi alla clinica Pineta Grande di Castel Volturno e poi presso un’azienda agricola di un parente a Grazzanise. Una versione smentita dagli accertamenti investigativi. Messo alle strette, confessò, collaborando con gli inquirenti.

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