Le indagini economico-patrimoniali hanno portato all’emissione di misure cautelari nei confronti di cinque indagati, accusati di aver nascosto, attraverso prestanomi, la reale titolarità di attività commerciali collegate alla distribuzione di carburante e alla gestione di un bar, con l’obiettivo di eludere le misure di prevenzione patrimoniali e mantenere il controllo dei profitti.
Le misure eseguite – Su delega della procura della repubblica e della direzione distrettuale antimafia di Messina, i finanzieri del comando provinciale hanno dato esecuzione all’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari ha disposto arresti domiciliari per due persone e l’interdizione dall’esercizio dell’attività imprenditoriale per altre tre. Contestualmente, è stato eseguito il sequestro preventivo del complesso aziendale utilizzato per la distribuzione di carburante al dettaglio, con rivendita di tabacchi, attività di bar e ulteriori servizi.
Le accuse – Agli indagati viene contestato il delitto previsto dall’articolo 512-bis del codice penale relativo al trasferimento fraudolento di valori. Secondo l’ipotesi investigativa, dal febbraio 2022 all’agosto 2023, in località Tortorici, avrebbero attribuito fittiziamente a terzi la disponibilità di imprese e beni per eludere la normativa in materia di prevenzione patrimoniale, contrabbando o per agevolare ricettazione, riciclaggio e reimpiego di proventi illeciti. Il valore delle attività sottoposte a sequestro è stato stimato in oltre 250mila euro.
La ricostruzione investigativa – Le misure cautelari e interdittive si fondano su un quadro indiziario ritenuto grave dal giudice per le indagini preliminari. Le attività, coordinate dalla direzione distrettuale antimafia e delegate al comando provinciale della guardia di finanza, si inseriscono in un più ampio contesto di investigazioni avviate sulla base di informazioni operative del servizio centrale investigazione criminalità organizzata. L’analisi di una pluralità di contratti collegati fra loro ha portato alla scoperta di una scrittura privata dalla quale emergerebbe la volontà di occultare, tramite prestanomi, la titolarità di un impianto di distribuzione stradale di carburanti e, con modalità simili, di un locale commerciale adibito a bar ubicato nella stessa area.
Prestanomi e gestione dei profitti – In entrambi i casi sarebbe stata attribuita formalmente la titolarità delle imprese ai figli dei reali gestori, allo scopo di aggirare l’interdizione dall’attività imprenditoriale. Tale sistema avrebbe consentito agli indagati di mantenere la gestione sostanziale delle attività e di spartirne i proventi, pur risultando solo apparentemente estranei.
Le ragioni dell’intestazione fittizia – Secondo la ricostruzione, il ricorso ai prestanomi sarebbe stato motivato dall’intento di sottrarre i beni agli strumenti predisposti dall’ordinamento per contrastare l’illecito arricchimento e proteggere l’economia da risorse riconducibili a circuiti mafiosi. Gli investigatori riconducono i soggetti coinvolti a due compagini criminali di tipo mafioso radicate nella provincia di Messina: una operante nella zona ionica e l’altra sulla fascia tirrenica. Uno dei due principali indagati risulta già appartenuto ai Bontempo-Scavo, articolazione dei cosiddetti tortoriciani, con condanne definitive per associazione mafiosa, estorsione, maltrattamento di animali, omicidio tentato e porto abusivo d’armi.
Il secondo indagato – Attualmente detenuto, sarebbe risultato proprietario di fatto di un’impresa nel settore del noleggio di imbarcazioni turistiche nell’area di Isola Bella a Taormina, formalmente intestata al figlio. Il soggetto, ritenuto riconducibile alla famiglia mafiosa “Santapaola–Brunetto”, ha già subito nel corso dell’anno un’ordinanza di custodia cautelare nell’ambito dell’operazione “Kalaat”, relativa a estorsioni aggravate dal metodo mafioso. Da quelle indagini sarebbe emerso il tentativo di monopolizzare le escursioni turistiche attorno a Isola Bella, escludendo altri operatori.
Gli approfondimenti patrimoniali – Le investigazioni odierne, sviluppate a partire dal precedente filone d’inchiesta, hanno rilevato una sproporzione tra patrimoni riconducibili agli indagati e ai familiari e i redditi dichiarati, rafforzando il legame fra comportamenti contestati e arricchimenti illeciti. Il giudice, nell’emettere l’ordinanza, ha tenuto conto anche delle deduzioni difensive formulate durante gli interrogatori di garanzia.

