Carabinieri morti in esplosione, Procura contesta ai fratelli Ramponi il reato di strage

di Redazione

Una casa satura di gas, un’esplosione, tre carabinieri morti e venticinque feriti tra militari, poliziotti e vigili del fuoco: la Procura di Verona contesta ai fratelli Franco Ramponi, Dino Ramponi e Maria Luisa Ramponi l’ipotesi di strage, insieme a una catena di reati che ripercorre l’intera notte di Castel d’Azzano.

Le accuse – Oltre alla strage, gli inquirenti ipotizzano la detenzione di esplosivo, il crollo e le lesioni gravissime ai danni dei 25 feriti. La Procura della Repubblica ha disposto accertamenti sulle vicende giudiziarie della famiglia Ramponi e sulla sussistenza di eventuali precedenti accertamenti di carattere sanitario.

Interrogatori e autopsie – Giovedì è fissato l’interrogatorio di garanzia davanti al gip per Franco e Dino Ramponi, ritenuti in grado di comparire; per Maria Luisa Ramponi, ancora ricoverata in gravi condizioni, l’audizione potrebbe slittare. Nella stessa giornata si svolgeranno le autopsie sui corpi delle tre vittime.

I funerali – Terminati gli accertamenti, sarà rilasciato il nulla osta per le esequie, previste per venerdì 17 ottobre a Padova. Nella basilica di Santa Giustina, in Prato della Valle, saranno celebrati i funerali del brigadiere capo qualifica scelta Valerio Daprà, 56 anni, del carabiniere scelto Davide Bernardello, 36, e del luogotenente Marco Piffari, 56; la camera ardente sarà allestita al comando della Legione Veneto dei carabinieri.

La famiglia e le tensioni sullo sfratto – Secondo i vicini, i Ramponi vivevano isolati, lavorando soprattutto di notte e mantenendosi con poche mucche da latte. La minaccia di saturare l’abitazione di gas per opporsi allo sfratto era già emersa lo scorso anno, in ottobre e poi il 24 novembre 2024, quando vigili del fuoco, carabinieri e polizia locale riuscirono a evitare conseguenze più gravi dopo una mediazione. I tre fratelli sostenevano di essere stati “ingannati” e di dover resistere a una sentenza del Tribunale di Verona ritenuta da loro sbagliata. In un’intervista di un anno fa, Maria Luisa Ramponi dichiarava: “Con mio fratello lottiamo da cinque anni per ottenere giustizia”, “Ha avuto un pignoramento ingiusto, gli hanno portato via tutta l’azienda agricola, terreni e adesso la casa”, “Oggi volevano fare lo sgombero e ci siamo opposti in tutti i modi”, “Abbiamo riempito la casa di gas per riuscire a lottare”, “Sono cinque anni che lottiamo con avvocati che si sono venduti, ci hanno rovinato, il tribunale fa di tutto per tenere nascosta questa cosa attraverso sentenze sbalorditive”, “Ci siamo trovati cinque anni fa una firma falsa in un mutuo e non si è più fermata la procedura per colpa degli avvocati”.

Il mutuo contestato – La controversia nasce da un mutuo del 2014, garantito da ipoteca su campi e casa. I Ramponi sostenevano di non aver mai firmato la documentazione e di essere vittime di firme contraffatte, da cui l’opposizione a ogni tentativo di sgombero.

Il precedente del 2012 – Nella biografia familiare pesa anche un incidente del 2012: un camionista, Davide Meldo, 37 anni, morì dopo aver tamponato, sulla strada da Roncolevà, un trattore senza luci né lampeggianti. Il processo stabilì la colpevolezza di un membro della famiglia Ramponi; l’assicurazione non risarcì perché il mezzo agricolo aveva i fari spenti. Per far fronte alle conseguenze economiche, i tre fratelli vendettero parte dei campi e ricorsero a un prestito bancario, che secondo loro non fu mai restituito per via di spese legali e interessi accumulati. “Papà e mamma morirono dal dispiacere un paio d’anni dopo, era il secondo figlio che perdevano in un incidente”, ha raccontato Valeria, sorella della vittima. “Quello che guidava il trattore venne a fare le condoglianze con un altro signore ai miei genitori, ma io non c’ero. Per fortuna”.

“Lavoravano solo di otte” – Nel piccolo comune a sud di Verona, i Ramponi erano percepiti come una famiglia chiusa, senza una rete di relazioni e con risorse ridotte all’abitazione e a un appezzamento con una trentina di mucche. “Lavoravano soltanto di notte”, raccontano i vicini.

La sindaca: “Hanno rifiutato aiuto” – “I Ramponi non erano seguiti, non si erano mai rivolti al Comune per chiedere aiuto”, ha spiegato la sindaca di Castel d’Azzano, Elena Guadagnini. “L’anno scorso per la prima volta ci hanno manifestato il loro disagio”, “in quell’occasione ci siamo mossi noi”, “Li abbiamo convocati, abbiamo mandato raccomandate, abbiamo cercato di coinvolgerli e di manifestare la nostra disponibilità per un aiuto”, “Ma loro hanno sempre rifiutato”, “Siamo riusciti con un piccolo stratagemma a intercettare la signora Maria Luisa”, “la nostra assistente sociale è riuscita a instaurare un rapporto di fiducia”. Da lì, “abbiamo tentato un rapporto di mediazione con le autorità preposte che stavano seguendo la vicenda”, “Abbiamo invitato la signora ad affrontare un paio di colloqui, ma lei è rimasta sempre fredda e ferma sulla sua posizione, uguale a quella dei fratelli: quella di non lasciare la loro casa”.

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