Camorra nel Casertano, sequestrati beni per mezzo milione: arrestato fratello di “Sandokan”

di Redazione

Un appezzamento di terreno con fabbricato rurale, formalmente intestato a prestanome ma in realtà gestito dalla famiglia Schiavone, era la fonte occulta di rendite destinate al sostentamento del clan anche dopo le confische. È quanto emerso dall’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, che ha portato a tre misure cautelari – una in carcere e due agli arresti domiciliari – e al sequestro preventivo del bene, dal valore stimato di 500mila euro.

Operazione tra le province di Caserta e Napoli – L’intervento è scattato nelle prime ore di oggi, tra le province di Caserta e Napoli, a opera dei carabinieri del Nucleo Investigativo del comando provinciale di Caserta. L’ordinanza è stata emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, nei confronti di tre persone ritenute gravemente indiziate di concorso in riciclaggio e autoriciclaggio, con l’aggravante del metodo mafioso.

Indagini su patrimoni riconducibili al clan – L’inchiesta, sviluppata tra il 2024 e il 2025, si è avvalsa di intercettazioni, accertamenti patrimoniali, analisi di colloqui in carcere di detenuti sottoposti al 41 bis e dichiarazioni di collaboratori di giustizia. Al centro delle indagini, la gestione occulta di beni riconducibili a Francesco Schiavone, detto Sandokan, storico capo del clan dei Casalesi, detenuto da anni al regime del carcere duro. Tra gli arrestati figura il fratello, Antonio Schiavone, considerato dagli inquirenti il perno di un sistema di riciclaggio finalizzato a mantenere in vita il patrimonio economico del capoclan. Secondo le accuse, avrebbe avuto un ruolo diretto nella gestione di beni intestati fittiziamente a terzi, al fine di garantire continuità economica alla famiglia del boss detenuto.

Il terreno gestito da prestanome – Le indagini si sono concentrate su un’operazione immobiliare risalente agli anni precedenti la cattura del capoclan. Un terreno con fabbricato rurale era stato acquistato da un esponente apicale del clan, ma lasciato fittiziamente intestato al venditore. Alla morte di quest’ultimo, la proprietà sarebbe passata al figlio, che lo avrebbe successivamente affittato a una terza persona, mentre la gestione reale del bene sarebbe rimasta in capo a Antonio Schiavone, responsabile della trattativa e della rendita.

Un sistema per eludere sequestri – Il meccanismo ricostruito dagli inquirenti rientrerebbe in uno schema consolidato, teso a ostacolare l’identificazione dell’origine delittuosa dei beni, eludendo i sequestri e le confische operati negli anni. Un modo, secondo gli investigatori, per continuare a garantire risorse economiche e centralità operativa alla famiglia criminale anche in assenza del capo.

Legami con l’inchiesta di luglio – L’operazione si inserisce nel medesimo filone investigativo che, lo scorso luglio, aveva portato all’arresto di due soggetti – tra cui Ivanhoe Schiavone, figlio del capoclan – nelle province di Caserta e Latina. Anche in quel caso, l’accusa era legata a operazioni di riciclaggio volte a proteggere e rigenerare il patrimonio del clan dei Casalesi.

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