“Te porto dint’ ‘o core”, Sabrina Russo canta l’amore che non si vede

di Antonio Taglialatela

C’è un amore che non urla, non posta, non si mette in mostra. È quello che Sabrina Russo ha deciso di raccontare in Te porto dint’ ‘o core, il nuovo singolo disponibile su Spotify e YouTube, una dichiarazione sussurrata a chi ci ha amati senza mai chiedere niente in cambio.

Un amore che si impara crescendo – “È un brano nato da una consapevolezza che arriva piano. Viviamo in un mondo dove l’amore si misura a voce alta, tra dichiarazioni e frasi ad effetto. Ma esiste un amore diverso, più profondo, che non ha bisogno di essere mostrato per esistere: è fatto di rinunce silenziose, di gesti che proteggono senza chiedere nulla in cambio, di sacrifici che passano inosservati, ma che ti cambiano per sempre. Quando sei figlia, dai per scontato tutto quello che ricevi, soprattutto quando non viene detto. Poi cresci, e impari a leggere nei dettagli, nelle mani, negli occhi. Ho scelto il napoletano perché certe emozioni non si spiegano, si sentono. E poche lingue sanno contenere amore e malinconia insieme come la nostra. ‘Te porto dint’ ‘o core’ è un grazie. A chi mi ha amata in silenzio. A chi c’è stato, anche senza farsi notare”. È il manifesto emotivo del brano: una canzone che parla da figlia, ma che chiunque abbia sperimentato un amore silenzioso può riconoscere e sentire propria.

Il napoletano come lingua del non detto – La scelta del dialetto non è un vezzo stilistico, ma una necessità espressiva. In Te porto dint’ ‘o core il napoletano diventa spazio naturale per tenerezza e malinconia, un lessico capace di tenere insieme gratitudine e nostalgia. Le parole sembrano arrivate “piano”, proprio come racconta l’autrice, e si adagiano su una scrittura che evita il melodramma facile per cercare piuttosto l’intimità: più che una dichiarazione, il brano assomiglia a un pensiero sussurrato a bassa voce, quasi un promemoria affettivo rivolto a chi non ha mai chiesto di essere celebrato.

Terzo singolo di un anno intensoTe porto dint’ ‘o core è il terzo tassello di un percorso discografico che nel 2025 si sta componendo con coerenza. A febbraio è arrivato il debutto con A capa è nu tribunale, seguito a luglio da Lassa correre o munno comme va: tre brani in un anno che raccontano una cantautrice già riconoscibile, capace di tenere insieme radici e ricerca, dialetto e scrittura sofisticata. Non una sequenza di singoli sganciati tra loro, ma i capitoli di un racconto artistico che sta prendendo forma.

Dalla periferia nord di Napoli alle aule del Conservatorio – Classe 2000, nativa di Sant’Antimo (Napoli), Sabrina canta da quando era bambina, lasciando fluire le note come un linguaggio spontaneo, prima ancora che una scelta di vita. Quella spontaneità, però, non è mai rimasta istinto puro: la forza espressiva di Sabrina nasce da un percorso di studio solido e verticale. Laureata al Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli, può contare su titoli in Canto Jazz e in Composizione e Arrangiamento Jazz, con una terza laurea in corso in Composizione Pop Rock. In un ambiente ancora fortemente maschile, è una delle pochissime donne compositrici jazz della scena campana: un dato che rende ancora più evidente la determinazione con cui si è ritagliata il proprio spazio.

Tra jazz, dialetto e palchi nazionali – La sua musica vive nel punto d’incontro tra partitura e istinto, tra armonia jazz e voce interiore. Nella scrittura Sabrina unisce l’eleganza delle architetture armoniche del jazz alla forza sonora del dialetto, trasformando proverbi, suoni e storie del Sud in canzoni contemporanee e riconoscibili. Un percorso che non è rimasto confinato alle aule di studio: dai palchi di Area Sanremo e del Festival di Castrocaro ai programmi televisivi come E Viva il Video Box di Fiorello e L’Eredità di Marco Liorni, passando per la direzione di cori scolastici e le collaborazioni discografiche, Sabrina ha costruito passo dopo passo un cammino coerente e coraggioso.

Una firma riconoscibile nella nuova scena cantautoraleTe porto dint’ ‘o core conferma una scrittura viscerale ma raffinata, che non ha paura di usare il dialetto per parlare di sentimenti universali. L’idea di un amore “che non si vede ma tiene in piedi tutto” attraversa il brano come una linea continua, mentre la scelta di dire “grazie” a chi ha amato in silenzio avvicina l’ascoltatore a una dimensione privata, quasi domestica. È qui che la formazione jazz e la sensibilità cantautorale trovano un equilibrio: in una canzone che non cerca l’effetto immediato, ma resta, come le persone che porta “dint’ ‘o core”.

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