Clan dei Casalesi, il mistero della morte di Bardellino: fu davvero ucciso? Riaperta l’inchiesta

di Redazione

Antonio Bardellino, fondatore del clan dei Casalesi, fu davvero ucciso in Brasile 35 anni fa o è vivo (oggi avrebbe 78 anni), o comunque è rimasto vivo per molto tempo ancora dopo essersi rifugiato all’estero? E’ il quesito sul quale vuole far luce l’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli. – continua sotto – 

Il pool partenopeo, come riportano i quotidiani Repubblica e Cronache di Napoli, ha dato mandato alla Dia di perquisire le abitazioni dei parenti del boss e di altri personaggi che sarebbero potuti essere in contatto con il “padrino”. L’attività investigativa è nata dopo il ritrovamento di una foto sequestrata durante l’arresto a Formia (Latina) di Angelo Bardellino, figlio di Ernesto Bardellino, ex sindaco di San Cipriano d’Aversa, e nipote di Antonio, nel novembre del 2011. L’immagine ritrae un uomo, sui 60-70 anni, che avrebbe tratti compatibili con il boss, la cui presunta morte avvenne quando aveva 43 anni.

Nato a San Cipriano d’Aversa il 4 maggio 1945, Antonio Bardellino fu tra i primi affiliati campani alla mafia siciliana, legato a Tommaso Buscetta col quale diventò socio in affari. Originariamente affiliato al clan Nuvoletta, agli inizi degli anni ‘80 si staccò dalla famiglia di Marano e si alleò a Umberto Ammaturo, Carmine Alfieri e al suo braccio destro Pasquale Galasso, anch’essi covanti astio nei riguardi dei Nuvoletta, colpevoli, secondo Bardellino, Ammaturo, Alfieri e Galasso, di aver reiteratamente rifiutato il conflitto con Raffaele Cutolo con cui, più volte, i Nuvoletta avevano tentato di fare da pacieri e, ergo, considerati dei doppiogiochisti. Insieme ad Alfieri, Bardellino – legato a Tommaso Buscetta, Gaetano Badalamenti e allo schieramento uscito perdente dalla seconda guerra di mafia – fondò un cartello camorristico che sarebbe poi entrato in conflitto con gli stessi Nuvoletta, intanto alleatisi ai Gionta di Torre Annunziata e legati all’altro schieramento che aveva combattuto nella seconda guerra di mafia, quello vincente, guidato dal clan dei Corleonesi, a cui i Nuvoletta – e in seguito, tramite Angelo Nuvoletta e anche Valentino Gionta – erano affiliati.

Ritenuto il fondatore del clan dei Casalesi, Bardellino dimostrò grande capacità imprenditoriale. Il salto di qualità del suo clan fu rappresentato, infatti, dal continuo riciclaggio di capitali illeciti nell’economia legale, aiutato dal grande affare del terremoto dell’Irpinia del 1980 e dal business del calcestruzzo Alle cronache internazionali Bardellino balzò nel novembre del 1983 quando, arrestato a Barcellona, pagò una grossa cauzione con cui i giudici spagnoli lo scarcerarono. Non scese mai dall’aereo, lasciando senza parole le forze dell’ordine che lo aspettavano. La sua mancata estradizione diventò un vero e proprio scandalo internazionale e interno alla magistratura catalana.  – continua sotto – 

Ad un certo punto, però, nacquero dissidi interni al gruppo camorristico: i capi degli altri clan, tra cui il famigerato Francesco Schiavone detto “Sandokan”, non accettarono più il suo strapotere e i trattamenti di favore riservati ai suoi parenti, così decisero di eliminarlo utilizzarono Mario Iovine, approfittando della sua sete di vendetta poiché il fratello venne ucciso proprio su ordine di Bardellino. Secondo le versioni ufficiali, sarebbe stato ucciso nel maggio 1988 in Brasile, nel suo villino a Buzios, località vicina a Rio de Janeiro. In molti usano il condizionale perché il corpo di Bardellino non venne mai trovato, e l’assassino, Mario Iovine, sarebbe stato a sua volta ucciso in Portogallo nel 1991.

Non scampò alla morte il nipote prediletto di Bardellino, Paride Salzillo, colui che gestiva sul territorio, per conto dello zio, gli affari malavitosi. Ricevuta la telefonata dal Brasile dell’avvenuta morte del capo, Francesco “Sandokan” Schiavone invitò Salzillo a un incontro con tutti i maggiori elementi di spicco dell’organizzazione. Questi ultimi, non appena il giovane si presentò lo disarmarono, lo informarono della morte dello zio e gli dissero che lo avrebbero ucciso. Salzillo, impietrito, venne fatto sedere su di una sedia e strangolato con una corda. Anche il suo cadavere non venne mai ritrovato, probabilmente fu gettato in un canale poi cementificato.

Diversi collaboratori di giustizia parlarono della morte di Bardellino. Tutti affermarono di averne conosciute le circostanze direttamente da Mario Iovine o da persone a lui vicine, ma tutt’oggi non esiste una versione degna di essere considerata attendibile. Nel 2014, l’ex boss e ora collaboratore di giustizia Antonio Iovine, alias “’O Ninno”, dichiarò di essere certo della morte di Bardellino. Il Tribunale di Napoli Nord ne dichiarò la morte presunta il 14 giugno 2018. La data presunta della morte è stata fissata al 31 maggio 1988. Non vi è stato alcun processo sul caso. – continua sotto – 

“Don Antonio”, come lo chiamavano i “picciotti” del Casertano, era probabile che fosse morto, ma si nutrivano dubbi alimentati anche da fonti giudicate attendibili. Ad esempio, anni dopo, l’ex direttore dei Servizi segreti militari, Cesare Pucci, in commissione Antimafia, riferì che non c’erano prove che fosse stato ammazzato e che finché non ne fosse stato trovato il corpo, bisognava considerarlo in vita. E così la pensava anche il primo pentito di Cosa nostra, Tommaso Buscetta, che nel 1993, rispondendo a una domanda di un magistrato, aveva detto: “E chi lo ha deciso che Bardellino è morto?”.

Circostanze che hanno alimentato, e tuttora alimentano, la leggenda di una morte fasulla, una messinscena creata ad arte per permettere a Bardellino di lasciare il potere nelle mani delle altre cosche malavitose, in cambio della sopravvivenza dei suoi familiari. Questi, dopo la diffusione della notizia della morte del loro congiunto, lasciarono le loro abitazioni e i propri paesi d’origine, per rifugiarsi a Formia.

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