Ucraina-Russia, i motivi della crisi tra Mosca e Kiev: cosa sta succedendo

di Redazione

Lo scontro Ucraina-Russia, nonostante i negoziati e i continui tentativi diplomatici, si fa sempre più esasperato, al punto da sembrare sull’orlo dell’invasione e di un conflitto armato. Le cause dell’escalation sono da ricercare nel passato, più o meno recente, a partire dal 2014, quando il popolo ucraino cacciò il presidente filorusso Viktor Yanukovich, instaurando un governo ad interim filoeuropeo non riconosciuto da Mosca ed “ereditato” dall’attuale presidente Volodymyr Zelensky, eletto nel 2019. Vladimir Putin rispose annettendo la contesa Crimea e incoraggiando la rivolta dei separatisti filorussi nel Donbass, regione nel sud-est dell’Ucraina. – continua sotto –

La caduta dell’Urss nel 1991 – Per avere un quadro chiaro della situazione bisogna però fare un ulteriore passo indietro. Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, nel 1991, l’Ucraina ritrovò la sua indipendenza, lasciando però una ferita ancora aperta nelle mire di Mosca, convinta di una sorta di “diritto storico” su quella che è sempre stata considerata la “Piccola Russia” (accanto alla “Grande Russia” teorizzata da Stalin). Lo stesso Putin, l’anno scorso, ha definito Russia e Ucraina “una nazione” e la perdita della Repubblica orientale “la più grande catastrofe geopolitica”.

Ucraina e le sue regioni “russofone” – L’Ucraina, i cui attuali confini sono relativamente giovani, è un Paese dalla storia complessa. Oggi nel Paese la lingua ufficiale è l’ucraino, ma la maggior parte della popolazione è perfettamente bilingue e, nelle zone a sud-est, il russo continua a essere la prima lingua. Una situazione particolarmente evidente nel Donbass, con i due Stati separatisti non riconosciuti: la Repubblica popolare di Donetsk e la Repubblica popolare di Luhansk. Lo stesso nazionalismo ucraino oggi ne ricorda le origini: culla della cultura russa moderna, con il Paese che dal IX secolo è stato il nucleo della Rus’ di Kiev, Stato monarchico medievale nato lungo le sponde del fiume Dnepr e che si estendeva fino alla Bielorussia e alla Russia. Nei secoli il centro politico, economico e militare si è spostato progressivamente a nord, trasformando l’Ucraina nella periferia dell’Impero, prima, e della Federazione, poi.

Il confine – L’instabilità politica e internazionale derivata da tali eventi non poteva che accentuarsi negli anni. La Russia e l’Ucraina condividono un confine di oltre 2.200 chilometri, concentrati in una posizione strategica dal punto di vista economico e geopolitico. Lo stesso termine “Ucraina” indica una marca, una regione di confine. La promessa adesione ucraina alla Nato rientra in questo gioco delle parti, con timori di “accerchiamento” da parte della Russia, che dal 1997 ha visto entrare nel Patto Atlantico molti Paesi dell’Est Europa: Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia, Albania, Croazia, Montenegro e Macedonia del Nord. – continua sotto –

La Nato e la richiesta russa di ritirare truppe e missili – Proprio la Nato appare, soprattutto in questi giorni, come l’ago della bilancia della crisi russo-ucraina. Ferma nel suo obiettivo di mantenere la sfera d’influenza nella regione, Mosca chiede all’Alleanza di ritirare le proprie truppe dalla Polonia e dalle tre Repubbliche baltiche, oltre che i propri missili da Polonia e Romania. La Russia accusa inoltre la Nato di riempire l’Ucraina di armi e gli Stati Uniti di fomentare le tensioni. Al di là del confine, la situazione non è però così definita. Soprattutto perché la Nato non può accettare nuovi membri già coinvolti in conflitti. Già dal 2008, prima dunque dell’arrivo del governo filoeuropeo non riconosciuto da Mosca, Kiev era stata “stoppata” mentre stava lavorando per entrare nel Patto Atlantico. La storia si sta ripetendo, anche a causa della corruzione dilagante all’interno del Paese e della necessità (secondo l’Occidente) di riforme politiche e militari. Con lo spauracchio della Russia sullo sfondo, che considererebbe l’ingresso ucraino nella Nato “un punto di non ritorno”.

Soldati russi ammassati al confine  Nell’est dell’Ucraina si rischia nuovamente una guerra ad alta intensità, con migliaia di vittime. Ma è davvero così? Negli ultimi mesi migliaia e migliaia di soldati russi sono stati ammassati al confine meridionale ed è stato rafforzato il sostegno ai separatisti del Donbass, ai quali è stato fornito mezzo milione di passaporti russi e il riconoscimento ufficiale dell’indipendenza delle repubbliche russofone. Lo spostamento delle truppe all’interno del territorio nazionale è la risposta principale addotta da Putin per giustificare le esercitazioni militari al confine (anche in Bielorussia). Il tutto condito da costanti “minacce”, da parte di Mosca, di dure conseguenze se Kiev dovesse agire in modo provocatorio. Come se non bastasse, Putin si è già dimostrato capace di attaccare territori “contesi”: la Cecenia nel 1999, la Georgia nel 2008, la stessa Ucraina nel 2014 e la Siria nel 2015. Nello spazio di pochi anni, però, la “controinformazione” di Stato ha cambiato le regole della (potenziale) guerra. Come ha notato Henry Foy sul Financial Times, la diplomazia moderna ha intrapreso un approccio piuttosto inusuale: Stati Uniti, Nato e Ue stanno diffondendo una grande quantità di informazioni di intelligence, minacce e accuse di vario genere prima destinati alle soli sedi negoziali.

La posizione degli Stati Uniti – Circa un anno fa, all’inizio del 2021, l’amministrazione Biden aveva inaugurato una serie di relazioni “distensive” con il Cremlino, offrendo collaborazione sul terrorismo e un piano graduale di disarmo. Un intervento diretto, agli occhi del mondo, che ha posto ancora una volta gli Stati Uniti nella posizione di “arbitro” al di qua dell’Atlantico. Per questo motivo la Casa Bianca non vuole farsi trovare impreparata su qualunque scenario. Ed ecco perché sta sollecitando i cittadini americani a lasciare Kiev. Il sostegno all’autodeterminazione del popolo ucraino, così come quello di Taiwan nei confronti della Cina, completa il quadro dell’impegno statunitense. Un impegno che vede il compatto sostegno anche dell’Europa. – continua sotto –

L’Europa e la questione del gas – L’Ue teme ovviamente le conseguenze di una guerra. L’Occidente vorrebbe ripartire dagli Accordi di Minsk, il cessate il fuoco firmato da Mosca e Kiev nel 2015 che prevedeva anche le elezioni nelle regioni separatiste e il ritiro delle forze filorusse. Un protocollo mai intrapreso del tutto, con la questione del gas russo sullo sfondo. La Germania ha paventato possibili sanzioni alla Russia, che coinvolgerebbero anche Nord Stream 2, il più lungo gasdotto del mondo (non ancora in funzione) che trasporta il gas naturale dai giacimenti russi alla costa tedesca e all’Europa. “Se la Russia invade l’Ucraina, il Nord Stream 2 non andrà avanti”, ha affermato nei giorni scorsi il portavoce del dipartimento di Stato americano Ned Price. Si tratta di una questione centrale per l’Europa, dove il 40% del gas utilizzato proviene da Mosca. Le sanzioni della Nato potrebbero dunque turbare in maniera decisiva i rapporti commerciali con la Russia. E peggio potrebbe determinare un’eventuale guerra.

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