“Cu nu starnute si rischia il linciaggio”

di Redazione

di Donato Liotto – Sì, durante questa pandemia è accaduto ed accade di tutto e di più: le chiusure forzate, le reclusioni domiciliari soprattutto hanno crea­to in molti stati d’ansia indicibili, irrac­contabili. Però noi vogliamo provare a raccontare attraverso queste poche ri­ghe effettivamente il covid come ci ha cambiato. Immaginate di stare in una famiglia qualunque. – continua sotto – 

Una giornata come tante sta per iniziare. Fuori è quasi alba, o primme a se scetà (svegliare) è don Michele (‘o pate) si alza dal letto, e con fare lento, ma lento assaie, cammine e che paposce (pantofole) o pere va in cu­cina, nun vò scetà o rieste da famiglia. Prima cosa appicce a televisione, cioè nunnè che l’appicce, (incendia) ma l ‘ac­cende col telecomando, o volume basso, in pratica se verene sule le immagini, po’ aizza a tapparelle, e da nu sguarde fore o balcone ed esclama: “Azzò, è an­cora notte! (sono le 5 del mattino, che vulive truvà o sole che spacche e pie­tre?). Pò cerca a macchinette do cafè, guarde rinte o mobile basso, poi quello alto, po n’do scolapiatti, po sotto ‘a cre­denze, po n’coppe a tavole, po’ adderete a televisione, po ‘rinte a cuccia del cane, sotto o tappeto, insomma, a macchinette do cafè nun ze trove. Ma addò caspite la mise sta macchinetta? Si gira e rigi­ra, e magia, è lì, annanze a isse, steve appuiate belleIla bellella n ‘coppe o pia­no cottura, che pure nu cecate a vereve. – continua sotto – 

Il “nostro” perplesso (ma nun tante) alza le braccia e, finalmente, afferra a macchinetta e accummence a priparà l’agognato liquido nerastro, meglio co­nosciuto col nome di caffè! Ora ci vuo­le lo zucchero, poi un cucchiaino, e nel cercarli apre un anta del mobile alto per prendere il contenitore dello zucchero, solo che sopra allo stesso c’è stevene appuiate nati tre buccaccie, essendo che il “nostro” (sempe isse) è nu metro e cinquanta (nu piezze e omme!) nun c’è arriva, ma nun esiste, l ‘addà piglia. – continua sotto – 

Alla fine, dopo innumerevoli allungamenti, stando per mezz’ora sulla punta dei pie­di, che a confronto Carla Fracci gli fa un baffo, ecco che afferra il contenitore dello zucchero, lo tira fuori piano, ma piano, senza farlo cadere, senza fa ru­more, e invece succere chelle che nun aveva succerere, care “Sansone cu tut­ti i filistei”. Sì, cade o buccacce dello zucchero con tutti i contenitori sopra, e comme si nun abbastava cadono anche quelli che gli stavano intorno. Nu ca­sino, un rumore esagerato. Il “nostro” avrà pensato e, pure vuie simme certe – “Voglie capì o’ buccacce n’coppe, ma chille attuaorne, comme cazz so carute? A risposta? Per solidarietà. Il nostro è stato anche investito da farina. – continua sotto – 

E men­tre sta realizzando, quasi con certezza e sicurezza che è accumminciate na iurn­nate e merde, improvvisamente, inizia ad avere un prurito, lieve, ma sempre prurito è! Il prurito con insistenza e fa­stidio gli chiede una sola cosa, “na rat­tate”. Poi, ecco che sta per accadere una cosa drammatica, una cosa che di questi tempi equivale a na condanna certa, sì, amici cari, sta per starnutire. – “Mamme do Carmine, cheste no, voglie cadere dalle scale, voglio darmi na martellata sul dito, ma o starnute no” – esclama con voce soffusa, il “nostro” e cheste sempe pecchè stanne tutti ancora a dor­mire. A un tratto, si piega su se stesso, po’ si alza (per modo di dire è nu metro e cinquanta) la faccia inizia ad assume­ delle smorfie, che manco con la  gomma si potrebbero cesellarle a quel modo, insomma, finalmente esce fuori uno starnuto, ma uno di quelli accompagnati oltre che, dal conosciuto “Etcciùùùù”, è anche accompagnato da un urlo liberatorio, “uannnemeepierepuorche”, pressap­poco così. Gli schizzi fuoriusciti, ma è più corretto dire una cascata che, mi­schiata allo zucchero, al caffè e farina, sono ben visibili sia in aria che a terra, difatti hanno formato piccoli disegni ge­ometrici, se vogliamo una forma d’arte fatta col mucco. – continua sotto – 

Uno schifo esagera­to! Silenzio, ancora silenzio, si spera di avercela fatta anche ora, ma dopo appe­na quindici secondi, corre la moglie e i due figli già vestiti, e con le maschere antigas e con pistola alla mano intimano al malcapitato starnutatore, che ricor­diamo, è pur sempre il capofamiglia, di mettersi in ginocchio, naso al muro. Poi partono mille telefonate e citofonate, bussano alla porta, sono i vicini armati di forconi, forchette, piatte e bicchiere, poi arrivano le forze anti covid, sono forze speciali anti-starnutatori, unità cinofile, e insomma, di tutto e di più. Il “nostro”, sempre stando in  ginocchio, riesce solo a dire una cosa a sua discolpa “E cherè? Io nu cafè me vuleve piglià!”.

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