Castel Volturno, il progetto del Museo del Mare visto dall’architetto Salvatore Costanzo

di Redazione
Castel Volturno

di arch. Salvatore Costanzo – Si assiste ormai da un po’ di anni a un crescente interesse degli studiosi sul ruolo e sul significato dell’architettura organica nel territorio casertano. Tuttavia il numero e l’importanza delle ultime ricerche e contributi su questo argomento, non nascono sempre sotto il segno dell’aggiornamento e quindi di una certa novità, sia nel campo delle problematiche del linguaggio espressivo contemporaneo, sia in quello della mancanza di una vera e propria “scuola” di architettura organica nella nostra provincia. Sul piano storiografico, possiamo interpretare questo fenomeno come una importante cerniera, dotata naturalmente di caratteri profondamente originali, che cerca di coniugare le sempre nuove esigenze della qualità-sociale dell’architettura “di casa” con la tradizione del moderno, su cui, in effetti, il dibattito culturale è ancora tutt’altro che concluso.

In un momento in cui la società, l’ambiente, il territorio di Terra di Lavoro sono investiti da molte e radicali trasformazioni, lo studio di un “Museo del mare a Castelvolturno” redatto da chi scrive sullo scorcio degli anni ’90 (1), costituisce un interessante episodio per ulteriori itinerari di ricerca sull’ “organicismo”, evidenziando chiaramente le linee portanti del discorso progettuale sulle dinamiche linguistico-formali in rapporto al contorno paesaggistico. Rafforzando le relazioni tra l’acqua e la terra attraverso un percorso che porta i visitatori a comunicare con l’inquieta bellezza e l’irresistibile fascino che il mare da sempre trasmette, il progetto è stato pensato come un’architettura modellata in prossimità della linea di costa, inteso simbolicamente come un “approccio accessibile non solo a terra”, e rappresenta una sorta di potente lanterna visibile a distanza, considerevole punto di riferimento per i naviganti. Una struttura singolare, che non è solo un luogo di esposizione ma un nuovo sistema in equilibrio tra ambiente costruito e ambiente naturale, in grado di raccontare la vita del litorale domiziano (2).

Tenendo presente che in un’epoca in cui fare architettura significa soprattutto lavorare intorno alla ricerca formale, l’immagine del Museo di Castelvolturno mira a una concezione integrata dell’edificio, tesa ad esprimere già nella pianta e nell’articolazione esterna le funzioni degli spazi interni, inserendo l’opera in un contesto naturalistico che risponde a funzioni non solo unitarie, ma culturali e sociali.  La sinuosa costruzione comprende temi e motivazioni legati agli spazi flessibili che si avvicinano al mare e che si identificano simbolicamente con la rappresentazione figurata dell’antico piccolo centro di pescatori casertani.

Uno dei tratti distintivi del complesso museale è il legame inscindibile in cui forma e funzione dialogano armoniosamente: la sua architettura mira a compenetrarsi con la natura e a rispettarla. Per degli utili approfondimenti su questo concetto, è bene registrare alcuni punti fermi dell’ “organicismo” dell’opera: il suo funzionalismo, l’intento sociale e il linguaggio delle forme. Notevole lo schema funzionale e organizzativo dell’impianto che comprende un’ampia zona mostre affiancata da laboratori e attrezzerie per gli allestimenti, e degli ambienti diversificati per le strutture espositive e le operazioni di disimballaggio relative agli scambi con altri musei e istituti d’interesse storico, scientifico, artistico (si pensi, ad esempio, al vicino Museo civico archeologico di Mondragone, al Museo Civico del Mare di Sabaudia, all’Antiquarium del Comprensorio Archeologico di Minturnae o al Museo del Mare di Bagnoli).

Ad aiutare a rendere fluido l’impianto è lo spazio delle collezioni temporanee, che può attingere dalle proprie riserve o da altre provenienze, con l’intento di integrare – a titolo di commento e di approfondimento conoscitivo – il materiale esposto nei vani permanenti. Al fine di rendere adattabili  le strutture espositive, l’edificio offre l’opportunità di creare diverse situazioni architettoniche all’ambientazione delle collezioni permanenti, e prevede l’archivio strettamente connesso con la biblioteca e con gli schemi del catalogo generale, che sono aperti a tutti.

Nel riconsiderare la dimensione operativa dell’opera di Castelvolurno, si può osservare una scelta progettuale derivata dalle premesse dei maggiori protagonisti dell’organicismo (Frank Lloyd Wright, in primis), e di altri esponenti della nuova maniera di concepire l’architettura organica in Italia (si vedano le opere di Scarpa, D’Olivo, Soleri, Nicoletti, anche nei territori nel nostro meridione) (3). Le prime tracce delle loro produzioni sono percepibili nei miei repertori già nell’edificio scolastico De Sanctis di Marcianise e nel Centro di socializzazione per disabili destinato al comune di Capodrise; le disposizioni assiali di queste ultime composizioni, qualificate da due assi fortemente marcati e incernierati in un fulcro, nel progetto di Castelvolturno sono, invece, sostituite da un’unica linea obbliqua che dagli ambienti polivalenti del Museo attraversa la sala conferenza, gli spazi dei modelli in allestimento, e conclude il suo tracciato nel grande contenitore dell’esposizione permanente. Si può constatare, inoltre, come in questa architettura, il vero centro è proiettato verso l’esterno attraverso il paesaggio circostante e la pineta, in un’espressione senza tempo dell’unità tra cultura e natura.

Non a caso la costruzione include una nuova lettura dei confini tra l’esterno e l’interno, offrendo soluzioni innovative alle esigenze sociali e culturali, tradotte in forme e geometrie rispondenti ai bisogni funzionali ed emotivi, che tendono a confermare la reale efficienza della struttura. Le parti sono basse e sviluppate in orizzontale, adagiate sul terreno, mentre gli spazi interni (collegati ad un percorso corrispondente ad un tracciato che traduce in pianta “l’idea del museologo”), guidano il visitatore attraverso gli ambienti espositivi in modo da fargli incontrare gli oggetti secondo le successioni e le scansioni stabilite dall’ordinamento.

Risulta fondamentale il riferimento ad un dato costante dell’impianto architettonico, quello di essere considerato un luogo di incontri incrociati e di influssi reciproci: l’oggetto si rivela “visitatore” e contemporaneamente si conforma allo spazio. Pertanto l’opera va intesa come una “disciplina compositiva” in cui conta molto il risultato estetico dell’architettura, con i suoi accostamenti di volumi, con i suoi spazi vuoti, i suoi disimpegni, le sue vetrate che lo inondano di luce. In definitiva il complesso di Castelvolturno, frutto di una meticolosa ricerca progettuale, rappresenta il tentativo di creare un modello di un vero organismo, dove “la parte sta alla parte come la parte al tutto” (Wright), in un rapporto indissolubile e armonico.

(1) Vale la pena sottolineare che l’intervento del Museo del mare a Castelvolturno rientra in un più ampio quadro progettuale destinato al recupero ambientale e alla riqualificazione urbanistica del territorio domiziano. A tale riguardo, si veda lo studio di S. Costanzo, P. Farina, Il Piano Domitio, Clean Edizioni, Napoli 2001. Sulle linee guida che indicano le scelte progettuali di una nuova area portuale turistico-commerciale a Castelvolturno (e quindi anche la proposta integrata di un complesso museale), si confrontino nel suddetto volume le pp. 79-88. Giova ricordare che l’ambizioso progetto del Piano Domitio fu presentato il 30 giugno del 2001 nella “Sala Pacifico” della Biblioteca comunale di Mondragone. Ai lavori della manifestazione – aperti da Ugo Alfredo Conte, sindaco di Mondragone -, presero parte numerose autorità, tra cui il presidente del Consiglio Regionale della Campania, Domenico Zinzi, l’assessore regionale alle Attività produttive, Gianfranco Alois, l’on. Mario Landolfi, il sen. Emiddio Novi, il presidente dell’Amministrazione provinciale di Caserta, Riccardo Ventre, e numerosi sindaci del territorio domiziano. Notevoli le testimonianze della stampa dedicate ai diversi interventi previsti nei territori domiziani, in particolare si veda la rivista “la Campania-Organo Ufficiale del Consiglio Regionale della Campania”, Anno 1, n. 4-5, 2001, pp. 34-35. Tra gli agili ma accurati profili delle nuove iniziative proposte, segnaliamo F. Scialla, Un progetto per recuperare la tradizione turistica e la voglia di rinascere, il Giornale di Caserta, 3 luglio 2001; C. R. Sciascia, Piano di risanamento del Litorale Domitio, Gazzetta di Caserta, 19 luglio 2001. Numerose notizie sul complesso delle opere sono rintracciabili pure in S. Costanzo, L’architettura moderna nel Meridione d’Italia 1930-2019, Giannini Editore, Napoli 2019, pp. 465-466.

(2) La struttura del Museo tende ad affiancare ai ruoli “storici”, altri ruoli legati – in sintonia con lo sviluppo delle moderne società di molti territori della costa campana e laziale – ai concetti di “comunicazione e didattica”. L’opera si propone come un impianto organico innovativo che attiva ricerche, elabora sistemi di informazione a vari livelli di approfondimento, avvalendosi di dispositivi multimediali interattivi che coinvolgono i visitatori in una curiosità di conoscere “pezzi di storia” della loro Terra.

(3) Sul contesto ideologico-culturale e l’ambito architettonico di appartenenza dei suddetti professionisti, possono tornare utili alcune indicazioni fornite dal saggio: S. Costanzo, L’architettura moderna nel Meridione d’Italia (1930-2019), op. cit. Un affresco vivissimo di questo volume ci è offerto da Franco Tontoli (cfr. “Gli edifici pagine di pietra che ci raccontano la Storia”, Il Mattino, 29 febbraio 2020, p. 34).

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