Calabria, appalti truccati per favorire la ‘Ndrangheta: 14 arresti e 103 milioni sequestrati

di Redazione

Un cartello composto da 57 imprenditori capaci di aggiudicarsi 22 gare ad evidenza pubblica attraverso turbative d’asta per agevolare la ‘ndrina Piromalli di Gioia Tauro. E’ quello smantellato dalla Guardia di Finanza che, stamani, con l’operazione “Waterfront”, ha eseguito 63 provvedimenti cautelari (tra cui 14 arresti), a carico di imprenditori e pubblici ufficiali ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla turbativa d’asta, frode in pubbliche forniture, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, aggravate dall’agevolazione mafiosa, oltre ad abuso d’ufficio e corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio.

All’operazione hanno partecipato oltre 500 finanzieri del comando provinciale di Reggio Calabria, insieme al Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata ed ai colleghi dei rispettivi comandi provinciali, sotto il coordinamento della locale Procura Antimafia, diretta dal procuratore capo Giovanni Bombardieri. I provvedimenti cautelari, emessi dal gip di Reggio Calabria, Filippo Aragona, su richiesta del procuratore aggiunto Gaetano Paci e del sostituto procuratore Gianluca Gelso, sono stati eseguiti tra le province di Reggio Calabria, Catanzaro, Cosenza, Vibo Valentia, Messina, Palermo, Trapani, Agrigento, Benevento, Avellino, Milano, Alessandria, Brescia, Gorizia, Pisa, Bologna e Roma.

14 gli indagati fini agli arresti domiciliari: Francesco Bagalà, 43 anni, Francesco Bagalà, di 30; Giorgio Morabito, Angela Nicoletta, Carlo Cittadini, Giorgio Ottavio Barbieri, Cristiano Zuliani, Francesco Migliore, Filippo Migliore, Alessio La Corte, Vito La Greca, Francesco Mangione, Giovanni Fiordaliso; Domenico Gallo. Altri 20 sono stati sottoposti a obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria; altri 29 hanno ricevuto il divieto temporaneo di esercitare attività imprenditoriale. Tra gli indagati anche il deputato della Lega Domenico Furgiuele, di Lamezia Terme, genero dell’imprenditore Salvatore Mazzei (già condannato per reati di mafia), al quale è contestato il concorso in turbativa d’asta in quanto rappresentante legale della società “Terina” che aveva partecipato a una gara d’appalto per la quale la Dda ha trovato tracce di accordi in un computer di un altro indagato.

Sotto sequestro beni del valore di oltre 103 milioni di euro, costituiti dall’intero patrimonio aziendale di 36 imprese/società e dalle disponibilità finanziarie (rapporti bancari/finanziari/assicurativi e partecipazioni societarie) di 45 indagati. Disposto, inoltre, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente fino alla concorrenza complessiva di circa 9,5 milioni di euro su beni mobili, immobili, quote e azioni di società, rapporti bancari/ finanziari/ assicurativi, intestati a 7 indagati.

L’operazione costituisce l’epilogo di complesse indagini nei confronti di 57 imprenditori facenti parte, a vario titolo, di un illecito cartello composto da molteplici imprese, capace di aggiudicarsi – attraverso turbative d’asta aggravate dall’agevolazione mafiosa – almeno 22 gare ad evidenza pubblica, in sistematica frode ai danni della Regione Calabria e della Comunità Europea. Le gare turbate e investigate dai militari del Gico, bandite tra il 2007 e il 2016 dalle stazioni appaltanti dei Comuni di Gioia Tauro e Rosarno, nonché dalla Suap (Stazione Unica Appaltante) di Reggio Calabria, hanno riguardato appalti per un valore complessivo superiore a 100 milioni di euro.

Nel dettaglio, le indagini hanno accertato: la turbativa di 15 gare d’appalto – tra il 2014 e il 2016 – indette per la realizzazione di grandi opere pubbliche nei comuni di Polistena, Rizziconi, Gioia Tauro, Gerace, Reggio Calabria, Santo Stefano in Aspromonte, Maropati, Grotteria, Galatro, San Giorgio Morgeto, Siderno, per un valore di oltre 58 milioni di euro. Al riguardo, è stato individuato un illecito cartello costituito da 43 imprese aventi sede in diverse regioni – articolato in cordate (calabrese, romana, toscana, siciliana e campana) – che hanno partecipato – a vario titolo – ai pubblici incanti investigati, determinandone indebitamente l’esito, attraverso la presentazione di offerte precedentemente concordate, garantendo, in tal modo, l’aggiudicazione degli appalti a una delle imprese del cartello. Anche laddove il cartello non fosse riuscito vincitore, venivano messe in atto manovre – sotto forma del subappalto o della procedura di nolo – al fine di controllare la gara e la conseguente esecuzione dei lavori affidata, comunque, alle imprese delle varie cordate.

Inoltre, riscontrata la turbativa di 7 gare d’appalto, conseguenti allo stanziamento – tra il 2007 e 2013 – di fondi comunitari per un importo complessivo di circa 42 milioni di euro, destinati alla riqualificazione delle aree urbane di Gioia Tauro, Rosarno e San Ferdinando, e dei relativi lungomare, in attuazione di Progetti Integrati di Sviluppo Urbano (Pisu) previsti dal “Por Calabria Fesr 2007/2013 Asse VIII Città Obiettivo Specifico 8.1. “Città e Città ed Aree Urbane”. Le condotte delittuose sono risultate aggravate dalla finalità di agevolare l’attività della ‘ndrangheta, nella sua articolazione denominata cosca “Piromalli” di Gioia Tauro che si è assicurata una rilevante “tangente ambientale”, garantendo la realizzazione dei lavori. In questo sistema, sostenuto da un collante composito fatto di imposizione ‘ndranghetistica e collusione, lo scopo perseguito dal sodalizio criminale è stato quello di garantirsi il controllo dell’intero sistema delle gare pubbliche indette dalle stazioni appaltanti calabresi.

Ai vertici di tale sodalizio, le risultanze investigative hanno posto Francesco Bagalà (1977) e Giorgio  Morabito, i quali, con l’ausilio di Francesco Bagalà (1990), hanno realizzato una serie di numerosi reati contro la pubblica amministrazione, nonché contro l’industria ed il commercio, al fine di appropriarsi di ingenti risorse pubbliche costituite dai fondi comunitari (Pisu), i quali, piuttosto che essere destinati ad una riqualificazione del waterfront di Gioia Tauro, hanno consentito un ingente lucro ai danni degli enti pubblici interessati.

Il ruolo di imprenditori “collusi” dei Bagalà era già emerso in maniera chiara dalle risultanze del procedimento “Cumbertazione”, conclusa nel 2017 dal Gico con l’esecuzione di provvedimenti restrittivi personali nei confronti di 27 persone, per i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione per delinquere semplice e aggravata, turbata libertà degli incanti, frode nelle pubbliche forniture, corruzione e falso ideologico in atti pubblici, nonché di provvedimenti cautelari reali su decine di imprese. Anche Morabito, da diverse concordanti dichiarazioni – ampiamente riscontrate – in considerazione del suo spessore criminale, aveva rapporti di “vicinanza” con i referenti della cosca sulla marina di Gioia Tauro. Invero, per l’esecuzione dei lavori di cui agli appalti banditi dal quel comune, Giorgio Morabito, quale imprenditore “colluso” e procuratore speciale delle ditte romane e siciliane appartenenti al cartello illecito, ha consentito l’assunzione – nei cantieri dal medesimo gestiti e/o alle dipendenze delle imprese aggiudicatarie – di maestranze segnalate dal referente dei “Piromalli”, nonché l’utilizzazione di mezzi meccanici e di un deposito riconducibili ad altri imprenditori vicini ad ambienti criminali mafiosi.

Le indagini hanno riguardato anche le condotte “a valle” delle gare di appalto sopra descritte, focalizzando l’attenzione sull’esecuzione materiale delle opere, permettendo di disvelare: una sistematica frode in pubbliche forniture relative a lavori nel comune di Gioia Tauro ed in quello di Rosarno in cui erano stati stanziati fondi comunitari; la percezione di somme non dovute, per importi quantificati complessivamente in circa 6 milioni di euro. Riscontrate diffuse irregolarità di carattere contabile e amministrativo – quali, a titolo esemplificativo, la liquidazione all’appaltatore di spese non dovute, distorto utilizzo delle cosiddette “varianti in corso d’opera”, difformità rispetto ai progetti approvati nell’esecuzione dei lavori e nell’utilizzo dei materiali, omessi collaudi statici, consegne parziali, polizze fidejussorie irregolari, prove non eseguite sulla qualità e sullo spessore degli asfalti bituminosi – nell’esecuzione degli appalti per la realizzazione, tra le altre, di importanti opere da destinare alla pubblica utilità quali il Palazzetto dello Sport, il Parcheggio interrato e il Centro Polifunzionale di Gioia Tauro, nonché il Centro Polisportivo di Rosarno.

Fondamentale, in tale contesto, è risultata l’acclarata complicità, a vario titolo, di pubblici ufficiali – dirigenti e direttori dei lavori/collaudatori, tecnici/progettisti e/o responsabili unici pro tempore dei procedimenti relativi agli appalti –all’uopo incaricati dalle relative stazioni appaltanti. È stato, infatti, accertato il ruolo svolto dal dirigente dell’Ufficio Tecnico del Comune di Gioia Tauro, Angela Nicoletta, nonché dall’architetto Francesco Mangione che insieme hanno rivestito la qualifica di direttore dei lavori e responsabile unico del procedimento per la maggioranza degli appalti relativi al “waterfront” ed alle altre opere pubbliche indetti con i fondi Pisu, consentendo ai legali rappresentanti delle ditte aggiudicatarie, di poter lucrare ingenti profitti ai danni della Regione Calabria e della Comunità Europea che ha cofinanziato i progetti di riqualificazione strutturale. Con riferimento agli appalti indetti dal Comune di Gioia Tauro, sono risultati coinvolti, a vario titolo, anche Pierluigi Risola, Antonino Crea, Michele Gabriele e Vincenzo  Bressi quali direttori dei lavori/collaudatori tecnici/progettisti e/o responsabili unici pro tempore dei procedimenti relativi agli appalti, nonché Alessandra  Campisi e Maria  Alati quali, rispettivamente, Rup e Segretario Comunale, pro tempore del comune di Rosarno.

Le attività investigative hanno, inoltre, certificato lo stabile rapporto corruttivo insistente tra il funzionario dell’Anas Compartimento di Reggio Calabria, Giovanni Fiordaliso, e il noto imprenditore Domenico Gallo – dominus di numerose società fornitrici di bitume e calcestruzzo – finalizzato alla frode nell’esecuzione di svariati contratti di fornitura (che celavano tra l’altro subappalti non autorizzati), nonché svariati lavori in regime di somma urgenza indebitamente affidati ad imprese riconducibili a Gallo – per un valore complessivo pari a 3,5 milioni di euro – nell’ambito di 4 gare per lavori di ammodernamento di tratti dell’Autostrada A2 Salerno – Reggio Calabria, indette – tra il 2009 e il 2016 – da Anas Spa – ricevendo da costui beni di lusso, altre indebite utilità e promesse di incarichi redditizi nelle sue imprese. Al riguardo, è emerso che, per il tramite delle imprese a lui risultate riconducibili, e con l’ingerenza di Fiordaliso, Domenico Gallo ha potuto effettuare forniture di bitume in diversi tratti autostradali della Sa-Rc, attraverso contratti di subfornitura o nolo a caldo e nolo a freddo che celavano, in realtà, subappalti non autorizzati e utilizzando materiali di qualità inferiore rispetto ai parametri imposti dai capitolati di appalto. A fronte delle utilità derivanti dalle omissioni poste in essere da Giovanni Fiordaliso, il citato imprenditore, tra l’altro, attraverso bonifici bancari recanti quale causale la retribuzione per prestazioni di lavoro mai effettuate – faceva percepire somme di denaro, per circa  94mila euro, a Caterina  De Giuseppe coniuge del predetto funzionario Anas alla quale sono state contestate operazioni di riciclaggio volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro ricevuto. IN ALTO IL VIDEO

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