Festival di Berlino, premi a Elio Germano e ai gemelli D’Innocenzo

di Gaetano Bencivenga

Si è conclusa con un tripudio tricolore la 70esima edizione del Festival del Cinema di Berlino, la prima diretta dall’italianissimo Carlo Chatrian, promosso dalla conduzione della valida rassegna di Locarno alla prestigiosa kermesse teutonica. In effetti, la manifestazione berlinese rimane, ancora oggi, un membro fondamentale della triade di festival cinematografici, insieme a Cannes e Venezia, di maggiore rilevanza planetaria, riuscendo a mantenere inalterata la sua natura di competizione dalle caratteristiche più indie e meno mainstream.

La pattuglia chiamata a difendere i nostri colori si presentava, fin dal principio, ben agguerrita, non soltanto all’interno del concorso, nel quale, però, entrambi i titoli schierati hanno ottenuto un riconoscimento. Cominciamo da quello più importante, ovvero l’alloro per il miglior attore. A fregiarsene è stato, indiscutibilmente, un bravissimo Elio Germano, impareggiabile nei panni del pittore naif Antonio Ligabue, protagonista del biografico “Volevo nascondermi” di Giorgio Diritti.

Un trofeo, che mancava dall’italico palmares da ben 33 anni, dedicato da un entusiasta Germano “a tutti gli storti, tutti gli sbagliati, tutti gli emarginati, tutti i fuori casta e ad Antonio Ligabue, alla grande lezione che ci ha dato, che è ancora con noi…Lui diceva “un giorno faranno un film su di me”, ed eccoci qui”. A fargli compagnia sul palco dei premiati i simpatici gemelli Fabio e Damiano D’Innocenzo, giunti sul red carpet mano nella mano per ritirare un meritato riconoscimento per la sceneggiatura della loro originale opera seconda “Favolacce”, storia di rabbia e disperazione pronta a esplodere sotto l’apparenza di normale quotidianità.

Enorme commozione ha suscitato l’assegnazione dell’Orso d’Oro per il miglior lungometraggio, dalla giuria capitanata dall’attore Jeremy Irons, all’iraniano “There is no evil” di Mohammad Rasolouf, che non ha ottenuto il permesso per lasciare il paese ed essere presente in una platea, pronta però a tributargli grandi applausi e onori al grido beneagurante “Mohammad tu non sei solo”. Il cast ha, poi, ringraziato in lacrime “gli attori che hanno messo a rischio la propria vita per realizzare questo film”.

Gran Premio dei giurati all’americana Eliza Hittman per “Never rarely sometimes always”, Orso d’argento per la regia al sudcoreano Hong Sangsoo, autore dell’apprezzato “The woman who ran”, a conferma del talento di una scuola ormai lanciatissima, e alloro per la migliore attrice alla tedesca Paula Beer, magnifica presenza nel fantasioso “Undine” del connazionale Christian Petzold. Completano la ricca lista il premio per il contributo artistico alla fotografia del provocatorio russo “Dau. Natasha” di Ilya Khrzhanovskiy e quello speciale del settantennale andato al franco/belga “Effacer l’historique” di Benoit Delépine e Gustave Kervern.

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