Coronavirus, un preside di Milano cita Manzoni e dice ai suoi studenti: “No al delirio collettivo”

di Redazione

La peste raccontata da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi ha parecchi punti in comune con alcuni dettagli della Milano alle prese con il coronavirus. E’ il preside di una scuola di Milano, il Liceo Scientifico “Volta”, a sottolineare le “similitudini” tra le due situazioni e a descriverle in una lettera aperta si suoi studenti, pubblicata sul sito dell’istituto. Domenico Squillace paragona gli “alemanni” di manzoniana memoria con i “cinesi” di oggi.

La scuola ai tempi del coronavirus – Il preside ricorda che anche in tempi di guerra, nel secolo scorso, a scuola ci si andava. “Al massimo, – precisa – quando arrivavano i bombardamenti, ragazzini e professori correvano nei rifugi. Per questo fa così impressione la decisione di chiudere le scuole in una Milano che sembra raccontata dalle pagine del Manzoni. Tra le righe sulla peste nei Promessi Sposi ho trovato similitudini con questi giorni di ansie sul coronavirus, la caccia al nemico. Così ho scritto ai miei ragazzi una mail di pensieri e consigli perché il sospetto non si trasformi in una caccia all’untore, perché non vedano nell’altro una minaccia. Perché il vero rischio di queste malattie invisibili se non si sta attenti è un imbarbarimento della vita sociale”.

La peste del Manzoni – Il professor Squillace riporta le parole del capolavoro del Manzoni sulla peste che si abbattè su Milano nel 1630 dicendo che nelle pagine in cui lo scrittore descrive quel cataclisma “c’è già tutto, la certezza della pericolosità degli stranieri, lo scontro violento tra le autorità, la ricerca spasmodica del cosiddetto paziente zero, il disprezzo per gli esperti, la cacci agli untori, le voci incontrollate, i rimedi più assurdi, la razzia dei beni di prima necessità, l’emergenza sanitaria”. Il preside fa poi riferimento alla localizzazione della sua scuola il Liceo Volta, proprio “il centro di quello che era il lazzaretto di Milano”, in quelle vie dove la tragedia della peste imperversava più forte che mai.

“No al delirio collettivo” – Il preside passa, dunque, al fattore scuole (chiuse) invitando i suoi ragazzi “a non lasciarsi trascinare dal delirio collettivo, a continuare – con le dovute precauzioni – a fare una vita normale”, senza “prendere d’assalto i supermercati e le farmacie” ed esortandoli a lasciare le mascherine a chi è malato, servono solo a loro”. E arriva al rischio più grande che, scrive, “in vicende del genere, ce lo insegnano Manzoni e forse ancor più Boccaccio, è l’avvelenamento della vita sociale, dei rapporti umani, l’imbarbarimento del vivere civile. L’istinto atavico quando ci si sente minacciati da un nemico invisibile è quello di vederlo ovunque, il pericolo è quello di guardare ad ogni nostro simile come ad una minaccia, come ad un potenziale aggressore. Rispetto alle epidemie del XIV e del XVII secolo noi abbiamo dalla nostra parte la medicina moderna. Usiamo il pensiero razionale di cui è figlia per preservare il bene più prezioso che possediamo, il nostro tessuto sociale, la nostra umanità. Se non riusciremo la peste avrà vinto davvero”.

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