Palermo, l’avvocato Fragalà ucciso dalla mafia, 6 arresti. Dava “fastidio” ai boss

di Redazione

Palermo – L’avvocato Enzo Fragalà andava punito perché per i mafiosi era “curnutu e sbirru”. Ma anche “perché con i suoi atteggiamenti nei confronti dei suoi assistiti che inviata ad una apertura verso gli inquirenti aveva irritato e infastidito Cosa nostra. E per questo andava punito”. Così il Procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, parlando dei sei arresti per l’omicidio Fragalà. Adesso è confermato quanto detto da più parti in passato: è stato un omicidio di mafia.

Le indagini, coordinate dalla Procura distrettuale di Palermo diretta da Francesco Lo Voi, coadiuvato da Leonardo Agueci, Maurizio Scalia, Caterina Malagoli, Francesca Mazzocco e Antonino Di Mateo ed eseguite dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo, sono state riaperte a seguito di nuove intercettazioni e collaborazioni, terminando con l’emissione di un ordinanza di custodia cautelare a carico di 6 persone.

Nei mesi di luglio 2013 e gennaio 2014, all’interno del carcere di Parma, sono stati intercettati due distinti colloqui tra l’allora reggente del mandamento di Porta Nuova, Giuseppe Di Giacomo e il fratello ergastolano Giovanni Di Giacomo. “Durante quelle conversazioni – dicono gli investigatori – emergeva chiaramente come i due mafiosi fossero a conoscenza che gli autori dell’omicidio dell’avvocato Fragalà erano affiliati al mandamento mafioso di Palermo Porta Nuova e, in particolare, alla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio”.

Il 27 aprile del 2017 Francesco Chiarello, affiliato alla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, aveva manifestato la volontà di collaborare con la Giustizia. Durante il primo interrogatorio, il neo collaboratore dichiarava di essere a conoscenza delle modalità esecutive dell’omicidio dell’avvocato Fragalà “confermando che gli autori dell’agguato erano stati Francesco Arcuri, Antonino Abbate, Antonino Siragusa e Salvatore Ingrassia. In aggiunta, specificava che all’esecuzione del delitto avevano partecipato due ulteriori soggetti mai emersi nella precedente attività di indagine: Paolo Cocco, genero di Ingrassia e Francesco Castronovo”.

In particolare, Francesco Arcuri “emergeva come colui che pianificava la spedizione punitiva, senza tuttavia parteciparvi di persona; Antonino Abbate emergeva come partecipante sia alla fase organizzativa sia alla fase esecutiva dell’aggressione e, nell’ambito di quest’ultima, con funzioni di individuazione della vittima e di copertura degli aggressori; Salvatore Ingrassia e Antonino Siragusa emergevano come partecipanti sia alla fase organizzativa sia alla fase esecutiva dell’aggressione e, nell’ambito di quest’ultima, con funzioni di copertura degli aggressori; Paolo Cocco emergeva come partecipante alla fase esecutiva e, in specie, come colui che trasportava sul luogo del delitto la mazza utilizzata per l’esecuzione, dando ausilio a Francesco Castronovo nell’aggressione”. E ancora: Francesco Catronovo emergeva “come partecipante alla fase esecutiva e, in specie, come esecutore materiale dell’aggressione, unitamente a Paolo Cocco”.

Le accuse di Chiarello nei confronti degli indagati risultavano assistite da molteplici e significativi riscontri di varia natura. Infatti, lo sviluppo delle attività investigative consentiva di acquisire indiscutibili fonti di prova in ordine alle responsabilità dell’omicidio Fragalà. “In particolare, Paolo Cocco era stato intercettato mentre confessava alla moglie di aver partecipato anch’egli all’omicidio; dopo aver trovato una microspia installata all’interno della sua abitazione, rassicurava Tantillo, in quel momento rappresentante della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, di non aver mai parlato in casa sua di un omicidio in cui erano coinvolti sia lui che il suocero Ingrassia”. E ancora, Castronovo veniva intercettato mentre, parlando dell’omicidio, riferiva alla cugina che fino a quel momento se l’era “scansata”.

“Le indagini facevano emergere, con profili di stringente contemporaneità rispetto all’aggressione, una linea professionale intrapresa con convinzione dal penalista in relazione alla quale i suoi assistiti, soprattutto quelli coinvolti in procedimenti di mafia, erano indirizzati ad assumere un atteggiamento di sostanziale apertura verso la magistratura”, spiegano gli investigatori. Pertanto in ordine al delitto rilevava la finalità di agevolare l’organizzazione mafiosa cosa nostra, sia nello specifico, nell’ottica di piegare la condotta professionale dell’avvocato Fragalà a maggior rispetto nei confronti dell’organizzazione mafiosa e dei suoi esponenti, sia in generale, per l’implicito messaggio intimidatorio nei confronti dell’intera Avvocatura palermitana.

Lo stesso Francesco Chiarello dichiarava che l’ordine di aggredire Fragalà era stato impartito perché “… chistu era ‘un curnutu e sbirru” e “doveva parlare più poco” “non ci toccate se, né soldi e se ha oggetti, perché lui deve capire che non è una rapina, deve capire che deve parlare poco”.

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