L’Onu “ostaggio” di cinque Paesi con potere di veto

di Gabriella Ronza

Forse non molti sanno che le decisioni più importanti dell’Onu (Organizzazione delle Nazioni Unite), per antonomasia organo internazionale e super partes, sono “ostaggio” di cinque paesi, che a partire dal 1945 possono bocciare le delibere del Consiglio di sicurezza e, quindi, bloccare ogni riforma.

Si pensi, ad esempio, al massacro di 8mila persone avvenuto a Srebrenica, in Bosnia, nel luglio del ’95. Il massacro non fu ritenuto genocidio per volontà non della maggioranza dei 193 Stati membri che compongono l’organo, ma del solo Consiglio di Sicurezza, un organismo composto dai vincitori della Seconda Guerra Mondiale: Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti, che detengono un diritto di veto e possono bocciare qualsiasi emendamento.

Nel Consiglio di Sicurezza siedono anche 10 membri non-permanenti, eletti a rotazione per un mandato di due anni, che non hanno il diritto di veto. Tutte le decisioni del Consiglio richiedono una maggioranza di almeno nove voti, tuttavia ciò non vale per le questioni procedurali: nessuna decisione può essere presa nel caso in cui un voto negativo, o veto, venga espresso da un membro permanente.

Il Consiglio ha molto potere: si interessa di questioni che minacciano la pace internazionale, cercando di ottenere un cessate-il-fuoco; può imporre sanzioni economiche e predisporre un embargo sugli armamenti.

Secondo Daniele Archibugi, economista del Cnr, il potere di veto ha “causato una deviazione degli obiettivi di pace e sicurezza internazionali perseguiti dello Statuto delle Nazioni Unite e ha generato una frattura fra il ruolo che avrebbe dovuto assolvere l’Onu nella politica mondiale e quello politico dei 5 membri permanenti come garanti della pace”.

Alcuni gruppi di interesse si “scontrano” per riformarlo: il gruppo “Uniting for Consensus” (UfC) di leadership italiana che propone un allargamento del Consiglio a 25 membri con 20 non-permamenti e senza diritto di veto e il G4 (composto da Germania, Giappone, Brasile e India) che insiste sull’ampliamento, fino a 11, del numero dei seggi permanenti e prevede 4 nuovi membri non-permanenti.

Resta, alla luce di ciò, una riflessione sulla natura stessa delle Nazioni Unite che non possono essere considerate né un governo mondiale, né un ente sovranazionale ma, secondo Daniele Santoro (docente di Filosofia politica dell’università Luiss di Roma), “un foro di concertazione inter-governativa che per funzionare ha bisogno del consenso dei Paesi membri”.

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