L’ultimo saluto a Pietro Mennea

di Redazione

 “Arrivederci a festeggiare la tua vittoria al traguardo del cielo”. Questo cartello e un lungo applauso hanno accolto nella basilica romana di Santa Sabina il feretro di Pietro Mennea, poco prima della cerimonia funebre, cominciata alle 10 e officiata da padre Antonio Truda.

Nell’antica basilica, per l’ultimo saluto all’olimpionico scomparso giovedì a 60 anni, si sono ancora uniti ai familiari tanti altri campioni dello sport, amici, autorità. Tra le corone accanto al feretro, quelle del ministero dello Sport della Regione Lazio, oltre ai gonfaloni della Provincia di Barletta Andria e Trani, delle città di Barletta e Formia.

“Non era tutto vero quello che dicevi, che quando si spengono le luci della ribalta non ti considerano; guarda la chiesa: ci sono tante persone che ti vogliono bene. Sei stato un campione che a livello mondiale era schivo sino a dare a tutti noi il senso del dovere da compiere e la gioia del dovere compiuto”. E’ un passaggio dell’omelia di padre Truda. “Hai avuto tanti talenti e li hai fatti crescere fino a diventare un mito, un campione. Hai saputo rendere grande la storia dell’Italia sportiva e umana. Ho letto tante cose su di te, ma come dice Papa Francesco se non c’è la fede non si possono raggiungere traguardi. Tutte le corse terminano in una Patria dove non c’è più dolore e affanno”, ha concluso il sacerdote.

“Il più grande desiderio di Pietro era raccogliere i suoi ricordi sportivi e farne un museo. Abbiamo pensato insieme al presidente della Fidal, Alfio Giomi, che lo Stadio dei Marmi potrebbe essere il luogo ideale dove tornare a respirare la pista, mentre il Golden Gala di Roma diventerà Memorial Pietro Mennea. Ho pensato di dirgli grazie, era la testimonianza più bella e importante del nostro rapporto, del tifo e dell’aiuto che mi ha dato per arrivare alla carica più alta dello sport italiano, l’ho onorato”. Questo l’annuncio del presidente del Coni, Giovanni Malagò, nel corso della propria orazione.

“Ho ricordato i tre momenti in cui ci ha voluto stupire: la prima volta fermando quel tempo che è rimasto fantascienza, la seconda quando ha fermato i nostri cuori con la medaglia d’oro a Mosca, infine la terza è stata giovedì. Aveva messo in rilievo il rigore, la disciplina, la volontà nell’essere atleta e lo ha voluto soprattutto essere nella malattia. La prima volta ci ha stupito, la seconda ci ha annichilito”, ha concluso Malagò.

“Era testardo, rigoroso e di parola, per questo non era simpatico a molti critici e giornalisti, ma è stato uno dei più grande i campioni di cui l’Italia abbia potuto vantarsi. Era figlio del Sud, un campione di corsa che spesso non aveva pista per allenarsi, ma ha saputo smentire tutti i luoghi comuni”. Con queste parole anche Gianni Minà ha dato l’ultimo saluto a Pietro Mennea. “Un ragazzo di Barletta un po’ stortignaccolo, che puntava tutto sulla sua caparbietà. Soffriva per la propria timidezza dialettica, ma rimediava sempre con i traguardi. Dopo Muhammad Ali seguivo Mennea, perchè come lui era fuori dagli schemi. Li salvarono i risultati, altrimenti sarebbero stati massacrati”, ha concluso Minà.

“E’ il simbolo della purezza dell’atletica leggera. I suoi ideali di vita erano un mondo in cui i più deboli fossero protetti dagli abusi dei più forti. Per questo amammo e amiamo Pietro”. A parlare nella basilica romana di Santa Sabina è l’ex magistrato Ferdinando Imposimato, che conclude: “Era una anomalia, quell’esile ragazzo dal guardo limpido e la volontà d’acciaio rinunciò a qualunque compromesso”.

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