Don Diana, 18 anni dopo: il ricordo e la rinascita

di Redazione

Don Peppino DianaCASERTA. 19 marzo 1994. Una breve conversazione alle soglie della sagrestia di una piccola chiesa ed il rumore di spari: questi i suoni che accompagnarono il sacrificio del primo sacerdote martire della mafia casalese.

19 marzo 2012. Dopo 18 anni “Chi è don Peppino?”, la domanda pronunciata dal sicario, dell’allora trentaquattrenne parroco della Chiesa di San Nicola, riecheggia ancora nella mente degli amici, dei ragazzi- scout, dei conoscenti di don Giuseppe.I quattro colpi d’arma da fuoco che ne seguirono tolsero una vita, ma soprattutto svegliarono le coscienze della gente e richiamarono le istituzioni alle loro responsabilità.

Don Giuseppe era un sacerdote di strada, un uomo che “faceva rumore” nella sua vita e soprattutto nell’esercizio della missione evangelica. Un antieroe per eccellenza che, suo malgrado, si trovava a vivere il ruolo di protagonista nella guerra alla mafia casertana quando questa, più di un conflitto tra istituzioni e anti-stato, sembrava uno status quo irreversibile. La mafia come potere unico, il boss come modello, violenza, omertà e corruzione, quali regole del vivere comune: questa la Casale in cui il sacerdote esercitava il suo magistero. In prima fila nell’aversano dilaniato dalla guerra tra i clan del post Bardellino, don Diana promuoveva incontri, richiamava in parrocchia i ragazzi a rischio, cercava di risvegliare le comatose coscienze dei suoi concittadini. Tutto ciò solo per amore. “… Per amore del mio popolo” fu infatti il titolo del documento, da lui redatto e sottoscritto dalle Foranie casalesi, in cui si condannava esplicitamente ogni tipo di mafia e le collusioni delle istituzioni e della stessa Chiesa.

Peppino Dianaera anche un amico, un compagno, un fratello e un figlio che ha lasciato un’enorme eredità di affetti. Mamma Jolanda e papà Gennaro, scomparso di recente, hanno fino ad ora continuato a mantenerne vivo il ricordo. Ci sono gli scout che con lui hanno fatto un percorso di vita, i suoi amici che lo ricordano come quel ragazzo sempre sorridente e disponibile, ma soprattutto ci sono i giovani. I giovani delle“Terre di don Diana” che nel corso del tempo hanno imparato a conoscere il suo messaggio, fino a farlo diventare realtà, attraverso la costruzione un modello di vita alternativo a quello mafioso.

Don Peppino festeggia con gli immigrati

Con la primavera alle porte, molti ragazzi da tutta Italia accorreranno per vedere i frutti dell’impegno di chi ha raccolto l’eredità di don Peppe. Una parte dei suoi conterranei ha creato presidi di legalità,ha riconvertito alcune proprietà sequestrate ai camorristi in beni d’utilità comune, ha finalmente alzato la testa. Molto è stato fatto ma non abbastanza.

Le mafie trovano sempre più accoliti nelle sedi del potere, e sradicare la mentalità malavitosa che è ormai parte integrante della società, è un obiettivo ancora lontano dalla sua realizzazione.

Questo è comunque il giorno della memoria, del ricordo di don Peppe Diana. E’ una giornata di lutto ma soprattutto d’impegno. Il sacerdote amico degli ultimi non ha sacrificato la sua vita invano; il seme della speranza è stato piantato nella terra che sembrava brulla.

A distanza di 18 anni, il compito di diffondere la legalità passa ai destinatari del messaggio di amore e giustizia del sacerdote, nella speranza che in un domani, non troppo lontano, a quella terribile domanda: “Chi di voi è don Diana?”, un coro univoco possa rispondere:“Ognuno di noi è don Peppe”.

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