Intercettazioni, scontro Fini-Schifani. Otto domande dal Pd

di Redazione

 ROMA. Il ddl intercettazioni torna all’esame della Commissione giustizia del Senato per approfondire i temi toccati dagli undici emendamenti presentati dalla maggioranza.

La decisione del presidente Renato Schifani è arrivata dopo che l’Aula ha respinto a maggioranza le questioni pregiudiziali e la questione sospensiva presentate dalle opposizioni. “Da presidente del Senato ho sempre cercato sul tema delle intercettazioni di favorire al massimo i momenti di dibattito e di approfondimento. Ritengo dunque che un ulteriore approfondimento in Commissione su alcuni temi possa costituire un elemento utile per cercare una mediazione” ha spiegato Schifani. Pd, Idv e Udc avevano chiesto di rinviare in Commissione l’intero testo ma Schifani aveva sottolineato che questa sarebbe stata “una scelta politica, non in potere della presidenza”.

LO SCONTRO. E mentre a Palazzo Madama era in corso il dibattito, si è consumato un duro scontro istituzionale tra i presidenti di Camera e Senato. Gianfranco Fini, da Santa Margherita Ligure dove inaugura la rassegna “Tigulliana”, ha espresso le proprie perplessità: “Ho dubbi sul testo al Senato del ddl intercettazioni, è opportuno che il Parlamento rifletta ancora”. Fini cita in particolare la norma transitoria (una modifica che rende applicabile il nuovo giro di vite anche ai procedimenti in corso): “È in contrasto con il principio di ragionevolezza – spiega -. Mi inquieta un po’ anche il limite di tempo. Io non so se i 75 giorni sono un numero giusto o sbagliato: ma se si capisce che il giorno successivo al 75esimo accade qualcosa non si può continuare?”. Per il presidente della Camera “non si può usare la mannaia”. Per questo auspica “che il dibattito affronti queste questioni che non sono state valutate bene, specialmente dalla maggioranza. Se i deputati alla Camera lo riterranno necessario si potrà intervenire”.

SCHIFANI: “FINI NON PUO’ FARE VALUTAZIONI SU ATTIVITA’ SENATO”. Frasi accolte con durezza da Schifani. “Il ruolo del presidente del Senato è un ruolo di garanzia dei diritti della maggioranza e dell’opposizione. È un dovere di terzietà. Io non mi sognerei mai di dare giudizi politici o di merito su provvedimenti all’esame dell’altro ramo del Parlamento” ha commentato, affidando la risposta al primo inquilino di Montecitorio ai giornalisti nel transatlantico di Palazzo Madama. “Da quando sono presidente del Senato – spiega, scuro in volto -, non mi sono mai occupato di dare valutazioni politiche nel merito di argomenti all’esame di questo ramo del Parlamento che pure presiedo”. A breve giro la contro-replica di Fini: “Rispetto totale per l’autonomia del Senato. Il presidente Schifani non può però fingere di non sapere che prima di presiedere la Camera ho contribuito a fondare il Pdl, di cui anch’egli è espressione. Sulle questioni relative alla legalità e all’unità nazionale non ho intenzione di desistere dallo svolgere un ruolo politico”.

RIVOLTA CONTRO FINI. Intanto nel Pdl èrivolta contro le parole di Fini. Il ministro e coordinatore Sandro Bondi: “Mi chiedo non se sia corretto ma se sia utile e ragionevole che il presidente della Camera esprima un giudizio politico nel merito di un provvedimento nel mentre lo si sta discutendo nell’Aula del Senato”. Per Gaetano Quagliariello, vicepresidente dei senatori, “Fini ha tutti gli strumenti per superare il conflitto d’interessi che deriva dal suo doppio ruolo di presidente della Camera e capo di una minoranza interna al Pdl”. Osvaldo Napoli, vicepresidente dei deputati: “Fini, come gli capita ormai di frequente, sostiene la posizione di nicchia dei pm e della nomenclatura giornalistica contro il parere di tutti gli altri italiani che non ne possono più di essere spiati”. Al contrario il presidente della commissione Antimafia Beppe Pisanu (Pdl) condivide i dubbi del presidente della Camera: “Grosso modo lo condivido. Spero ci sia un approfondimento”. Martedì è in programma un vertice di alcuni parlamentari finiani: Bocchino, Granata e Bongiorno. Per Granata “ora il problema riguarda tre punti: le norme transitorie, la questione dei reati spia o reati collegati, e le intercettazioni ambientali”.

RINVIO IN COMMISSIONE. La seduta nell’Aula del Senato è cominciata dopo un primo rinvio per mancanza del numero legale (l’opposizione era assente). Come previsto, il vicecapogruppo del Pd Luigi Zanda ha subito chiesto al presidente Schifani di rinviare il testo in commissione Giustizia perché “ci sono emendamenti importanti della maggioranza con novità consistenti”. Stessa richiesta è arrivata da Idv e Udc. E Schifani: “Mi impegno a dare una risposta sull’eventuale ritorno in commissione del ddl intercettazioni non appena il provvedimento verrà incardinato”. Lega e Pdl si erano detti contrari a un ritorno in commissione del ddl: “Non lo riteniamo necessario perché la discussione è stata lunga, completa e approfondita e il provvedimento è stato molto ponderato” ha spiegato il capogruppo del Pdl Maurizio Gasparri.

PD: 8 DOMANDE.Il Pd ha criticato i tempi contingentati: “È impensabile discutere solo un’ora e mezza. Impiegheremo tutto il nostro tempo per illustrare le questioni pregiudiziali che abbiamo presentato, oltre ad attuare tutte le iniziative di opposizione che si dovessero rendere necessarie, a seconda dell’evoluzione del dibattito in Aula” promette Anna Finocchiaro. Giovanni Legnini (Pd) ha elencato “le otto domande, facili quanto drammatiche, alle quali maggioranza e governo devono rispondere di fronte ai cittadini”: quali effetti produrranno le norme restrittive del diritto di cronaca sugli atti già resi pubblici o disponibili ai difensori delle parti? Chi garantirà la correttezza del riassunto da pubblicare, la sua lunghezza, la sua idoneità a riferire la completezza dei fatti anche nell’interesse degli indagati? E che cosa ne sarà di questa nuova categoria di atti che in virtù delle disposizioni processuali sarà pubblica ma non sarà pubblicabile sulla stampa? Quali saranno le nuove modalità diffusive di informazioni non pubblicabili ma di enorme interesse per l’opinione pubblica? E che succederà quando tali atti pubblici ma non pubblicabili saranno pubblicati dalla stampa straniera? Dovremo andare all’estero per essere informati sui fatti del nostro Paese o potremo utilizzare i moderni strumenti telematici, internet, per attingere informazioni dall’estero e per rimediare al divieto di pubblicazione in Italia, sanzionato con il carcere? E che ne sarà delle indagini nelle quali si scoprirà, magari a distanza di anni, che il delitto fu consumato il primo o il centesimo giorno successivo alla cessazione della possibilità di proseguire nelle intercettazioni? E quali saranno i prezzi che dovremo pagare in termini di sicurezza e di tutela delle vittime dei reati, quando fra alcuni anni avremo contezza del fatto che imputati di estorsioni o usura in realtà appartenevano alle molte mafie del nostro Paese ma ciò non fu possibile accertarlo?

VIOLENZA SU MINORI. La capogruppo del Pd in commissione Giustizia alla Camera Donatella Ferranti ha puntato invece l’indice contro un emendamento “che farà tirare un sospiro di sollievo a molti pedofili”, chiedendosi “per quali ragioni il Pdl abbia deciso di usare il treno del ddl intercettazioni per presentare una proposta che elimina l’obbligatorietà dell’arresto in flagranza per chi commetta atti di violenza su minori di minore gravità”. “Una norma tutta da verificare nel merito – sottolinea Ferranti – anche perché non definisce la soglia della minore gravità e non chiarisce che mai potrà ritenersi di scarsa rilevanza, tale quindi da escludere l’arresto in flagranza e il processo in direttissima, l’atto sessuale con minorenne commesso dal genitore, dal tutore, dall’insegnante o dal prelato, insomma da chi ha in affidamento un minore e ne approfitta abusando del proprio ruolo e del rapporto di fiducia e vicinanza”. Alla Ferranti ha risposto il relatore del ddl Roberto Centaro (Pdl): “Nessun aiuto ai pedofili, anzi con questo emendamento si rimedia a un precedente errore materiale. Questa norma statuisce un deciso inasprimento in tema di custodia cautelare a protezione dei minorenni, ancorché non si tratti di episodi di violenza ed è una norma parallela a quella già esistente nel codice di diritto penale, l’art. 609 bis, con riferimento ai casi di minore gravità per i quali la pena è diminuita fino a due terzi”. Ma su questo punto c’è anche una presa di posizione di Alessandra Mussolini (Pdl), presidente della Commissione parlamentare per l’Infanzia e l’adolescenza, che annuncia battaglia contro possibili modifiche dell’arresto per reati di pedofilia: “Non dovrà passare alcun emendamento che possa eliminare l’arresto in flagranza per chi ha commesso abusi sessuali sui minori”.

EMENDAMENTI. Con gli undici emendamenti presentati venerdì la maggioranza sperava di evitare il ritorno del testo alla Camera. Ma anche fuori dal Parlamento l’opposizione al ddl resta alta: i giornalisti continuano a parlare di “bavaglio” per la stampa e i magistrati di “legge assurda che limita eccessivamente le potenzialità investigative di Procure e forze dell’ordine”. Per venire incontro alle proteste dell’informazione, il Pdl ha previsto che durante le indagini possano essere pubblicati per riassunto gli atti d’inchiesta, rimandando la pubblicazione delle intercettazioni, ma solo di quelle giudicate rilevanti per il processo, a dopo l’udienza preliminare. Sono state inoltre alleggerite le sanzioni agli editori e le pene per i giornalisti, mentre resta alta la sanzione a carico delle “talpe”.

PROCESSI IN CORSO. Minor disponibilità è stata dimostrata nei confronti delle richieste dei magistrati: resta l’obbligo di motivazione e il presupposto di indispensabilità delle intercettazioni, il limite massimo di durata dell’attività di ascolto di 75 giorni, la necessaria autorizzazione da parte di un giudice collegiale e la possibilità per l’imputato di ricusare il pm o il giudice che si sia lasciato scappare una dichiarazione sul processo o sull’indagine in corso. Sparisce poi la norma transitoria: le nuove regole si applicherebbero anche alle indagini in corso e ai “procedimenti pendenti”. Ed è su questo punto che si consuma lo scontro più aspro, anche con l’opposizione in Parlamento.

REGISTRAZIONE NEI PROCESSI. Un’altra questione in primo piano è quella del divieto di registrazione dei processi, contestato in particolare da Radio Radicale. Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, ha scritto una lettera aperta al presidente Fini affinché “ciò che è stato consentito fare a noi non venga impedito ad altri”. Se le nuove norme fossero già in vigore – spiega la donna – non sarebbe stato possibile mostrare pubblicamente le foto che documentano le condizioni di Stefano dopo il decesso.

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