La compagnia dei consorzi nella bufera campana

di Redazione

Gianni De GennaroMolti paesi e città della Campania continuano ad essere invasi dai rifiuti ed anche il nuovo Commissario Straordinario, Gianni De Gennaro, sembra incontrare non poche difficoltà ad affrancare la regione da un disastro di immane proporzioni.

Non tutte le zone della Campania sono per fortuna interessate allo stesso modo dall’emergenza dei rifiuti, soprattutto perchè non tutte praticano la raccolta differenziata a livelli trascurabili. E lo conferma lo stesso recente Rapporto 2007 dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici. In Campania, secondo i dati dell’APAT, il dato complessivo relativo alla raccolta differenziata dei rifiuti raggiunge l’11,3%, ma all’interno di un mosaico eterogeneo: la raccolta differenziata si attesta, infatti, intorno al 20% nelle province di Salerno (21,3%) e Avellino (19,3%), per poi ridursi in riferimento alle province di Benevento (13,3%), Caserta (9,5%) e Napoli (8%)[1].

La situazione nelle aree del napoletano e del casertano ha, ormai, raggiunto livelli a dir poco allarmanti per l’ambiente e, soprattutto, per la salute dei cittadini.

Avevamo anticipato “la bufera” nel numero 4/5 del 2007 di MondOperaio[2], non perché in grado di predire il futuro, ma solo in quanto i prodromi dell’attuale disastro erano già sotto gli occhi di tutti. E, purtroppo, da moltissimi anni. Si trattava solo di capire quando sarebbe deflagrata una situazione che è andata ingrossandosi lungo l’arco di 14 anni di inefficienze, di gravi anomalie, di incompetenze, nonché di possibili e probabili gravissimi reati. Non vi è programma televisivo, quotidiano e rotocalco (e, purtroppo, non solo in Italia) che non abbia avuto modo in questi ultimi due mesi di occuparsi con incredulità, preoccupazione e sdegno dell’emergenza-rifiuti in Campania. Siamo addirittura arrivati alla pubblicità che direttamente o indirettamente si richiama al disastro dei rifiuti[3]. Tutta la vicenda dell’incredibile ciclo vizioso dei rifiuti campani è stata quotidianamente passata in rassegna per cercare di capire dove si annidano le responsabilità, qual è stata la genesi di tale disastro e come sia stato possibile attraversare tutti questi anni con una sequela di commissari straordinari, mega strutture burocratiche allestite ad hoc e un’ingente massa di pubblico denaro sperperato, senza neppure avviare a soluzione un problema che anche in paesi meno avanzati del nostro da tempo ha trovato adeguate soluzioni.

Per ricostruire i fatti, almeno quelli più importanti, può essere opportuno utilizzare i documenti della stessa Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse[4]. Ma anche l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli depositata il 27 giugno 2007 nei confronti degli esponenti del Commissariato Straordinario per l’emergenza e delle società responsabili degli impianti per lo smaltimento dei rifiuti Impregilo, Fibe, Fibe Campania e Fisia Italimpianti, può essere utile per ricostruire cosa sia accaduto in questi anni. Anche se ovviamente si dovranno attendere le varie fasi processuali per poter correttamente appurare eventuali responsabilità.

L’ordinanza di 400 pagine contiene accuse puntuali e pesanti nei confronti dei responsabili di questa “catastrofe non naturale”. Le imprese vengono accusate di aver messo in piedi una “truffa aggravata ai danni dello Stato e frode in fornitura”. Il Commissariato è, invece, accusato di “inerzia” nell’attività di controllo[5].

Gli indagati sono ben 28, tra i quali il Presidente della Regione Antonio Bassolino, nella sua veste di Commissario per il periodo dal 2000 al 2004, il Vice Commissario Raffaele Vanoli, il Sub Commissario Giulio Facchi, i responsabili dell’Impregilo, Piergiorgio e Paolo Romiti. I comuni che risultano parti lese nel processo sono oltre 549. Non sarà facile districare una matassa a dir poco ingarbugliata per acquisire tutte le responsabilità, anche perché ve ne sono sicuramente delle altre rispetto a quelle sino ad ora emerse, e non solo di tipo penale. Sullo sfondo, intanto, continua “la guerra dei rifiuti”, ovvero la sindrome di Nimby che aggrava pesantemente lo stato delle cose.

Eppure, fino ad oggi uno degli aspetti più macroscopici dell’annosa questione dei rifiuti in Campania è incredibilmente restata sotto traccia. Ci si riferisce al ruolo che hanno avuto i consorzi pubblici per la gestione dello smaltimento dei rifiuti e, quindi, per la raccolta differenziata, e le società pubblico-private che sono sorte per gemmazione da questi per la gestione dell’intero ciclo dei rifiuti. Si tratta di una lunga storia nata con la legge regionale Campania n. 10 del 10 febbraio 1993, recante “Norme e procedure per lo smaltimento dei rifiuti in Campania”, come modificata dalla legge regionale Campania n. 10 del 29 luglio 1998, che individuava tra i vari soggetti attuatori del piano di smaltimento dei rifiuti anche i Consorzi.

Da allora è iniziata una lunga scia di sperperi, abusi ed anomalie: i consorzi sono diventati strumenti di clientela e di raccolta di consenso politico, si sono ingrossati illegalmente di personale, hanno consumato ingenti risorse aggravando il disastro già in atto e si sono trasformati nel “cavallo di Troia” della criminalità organizzata per mettere le mani sul grande business dei rifiuti.

Ha scritto Roberto Saviano, l’autore di Gomorra, il best-seller che racconta un viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra, che “il consorzio privato-pubblico rappresenta il sistema ideale per aggirare tutti i meccanismi di controllo. Nella pratica è servito a creare situazioni di monopolio sulla scelta di imprenditori spesso vicino alla camorra. Gli imprenditori hanno ritenuto che la società pubblica avesse diritto a fare la raccolta rifiuti in tutti i Comuni della realtà consorziale, di diritto. Questo ha avuto come effetto pratico di avere situazioni di monopolio e di guadagno enorme che in passato non esistevano”[6].

La questione dei consorzi e delle società pubblico-private da essi nate, s’intreccia indissolubilmente con il cosiddetto “capitalismo comunale” (o capitalismo municipale o, ancora, socialismo municipale), con la presenza cioè sempre più massiccia degli enti locali e regionali nella vita economica del Paese, che interessa sia il nord che il sud, anzi in particolare le autonomie settentrionali.

In una recente intervista a Il Giornale, il Ministro Linda Lanzillota, che ha tentato invano per quasi due anni di far approvare un disegno di legge di radicale riforma dei servizi locali, ha chiarito efficacemente il pericoloso sistema che da qualche tempo è stato messo in piedi: “I Comuni partecipano al capitale di una società che a sua volta partecipa al capitale di un’altra società, in un gioco di scatole ad incastro… Emerge un’enorme presenza diretta della politica nella gestione dell’economia locale. Troppa politica rischia di trasformarsi fatalmente in cattiva politica e in pessimi servizi per i cittadini”[7].

E’ una recente ricerca di Unioncamere a rappresentare lo sviluppo tumultuoso di queste società, troppe, inefficienti e spesso (soprattutto al Sud) pericolosamente “partecipate”[8]. La ricerca, focalizzando l’attenzione sulle 4.337 società nelle quali gli enti locali detenevano nel 2005 almeno il 10% del capitale, rileva che più di 1.500 facevano riferimento all’ambito delle infrastrutture e dei servizi alle imprese, 460 al comparto energetico, 434 ai trasporti, 227 al ciclo integrato dell’acqua e 393, appunto, alla gestione dei rifiuti. Società che alimentano un esercito di “nominati”: in totale 38.288 cariche riferite a 26.290 persone o società con cariche. Nel complesso risultano essere circa 23.000 i consiglieri di amministrazione nominati nelle società partecipate dagli enti locali (in media poco più di 7 per impresa) e quasi 12.000 i componenti dei relativi collegi sindacali (circa 4 per impresa). Mediamente, in ogni società sono 12,1 le persone che ricoprono cariche di amministrazione, gestione o controllo.

Per “stare sui rifiuti”, le quasi 400 società pubblico-private danno possibilità alla politica di smuovere un esercito di nomine in un settore che l’APAT stima abbia un costo complessivo nazionale di circa 7.288 milioni di euro all’anno, di cui circa 3.741 milioni per le fasi di gestione dei rifiuti indifferenziati, 1.078 milioni per le raccolte differenziate, 1.144 milioni per la pulizia delle strade ed i rimanenti 1.325 milioni imputabili ai costi comuni e d’uso dei capitali.

Sono queste le cifre che fanno capire l’interesse della politica, da una parte (per le nomine, le assunzioni etc.) e quello della criminalità organizzata dall’altra (per mettere le mani su uno dei più rilevanti affari degli ultimi anni).

Si tratta di una “geopolitica del banchetto” che ha visto intorno al tavolo campano politici degli opposti schieramenti, amministratori di destra e di sinistra, sindaci, criminalità organizzata, disoccupati organizzati, affaristi e clienti, tutti dediti a rapinare risorse e a contribuire a gettare la regione nell’inferno di questi anni. Un commissariamento della gestione dei rifiuti così lungo, ovvero uno stato di eccezione senza giustificazione, unitamente alla presenza di consorzi e società famelici hanno determinato una spirale di irresponsabilità ed illegittimità, di appropriazione indebita e di malaffare ed hanno dato vita ad uno degli scandali più gravi della storia italiana.

Ci sono voluti 14 anni per far comprendere che quei consorzi nati nel 1993 andavano sciolti e superati (alcuni di essi nel frattempo erano già stati commissariati). Nella seconda relazione territoriale sulla Campania della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesso presentata dai Senatori Barbieri e Piglionica e approvata nella seduta del 19 dicembre 2007, si può – finalmente – leggere che: “Occorre, dunque, procedere, con urgenza, e senza esitazioni, al completo smantellamento delle strutture consortili, facendo venir meno anche l’esclusiva competenza degli stessi in materia di raccolta differenziata”[9].

I Consorzi, rispetto ai quali come si vedrà in seguito in tanti avevano già da tempo lanciato l’allarme, sono stati finalmente individuati nella loro qualità di strutture inefficienti, clientelari ed inutili, che hanno alimentato spreco di denaro pubblico e che hanno in qualche caso dato vita a vere e proprie truffe organizzate con personaggi di dubbia correttezza.

Scrive la Commissione che il costo totale della prima fase del non-ciclo dei rifiuti (comprensiva delle attività di spazzamento, raccolta e trasporto) è valutabile in un range fra i 500 e 600 milioni di euro per anno, con un’incidenza di circa 96 euro/anno per abitante (a fronte di un’incidenza pro-capite dell’intero ciclo di 134,79 euro/anno). In particolare, poi, il solo costo delle risorse umane è pari a 60,80 euro/anno per abitante. Se si considera che i comuni sono obbligati ad avvalersi, in via esclusiva, dei consorzi, e della relativa pletorica dotazione di personale, per l’organizzazione e lo svolgimento dei servizi di raccolta differenziata, ne discende con evidenza come sul non-ciclo abbia pesato in modo significativo un fattore diseconomico strutturale, rappresentato appunto dai consorzi.

Eppure, sui consorzi da anni fioccavano analisi e denunce. Basta leggere la relazione dell’ex Presidente della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esse connesse, Paolo Russo, del 26 gennaio 2006, ma anche riascoltare l’ottimo servizio di Report andato in onda il 6 maggio 2007.

Bernardo Iovine mentre intervista alcuni addetti alla raccolta differenziata, regolarmente pagati, ma da sempre inoccupati, commenta fuori campo: “Nessuno ha mai fatto un conto di quanti siano gli addetti alla raccolta dei rifiuti in Campania. Ci ha pensato la Protezione Civile ed ha calcolato che tra consorzi e società partecipate sono 12.000, cioè uno ogni 400 abitanti, mentre la media italiana è uno ogni 9.000 abitanti”[10].

Come ha efficacemente sintetizzato Paolo Chiariello i consorzi in questi anni sono state vere e proprie “mucche da mungere”: “Tanto i fondi arrivano ogni mese e fino a quando ci sono gli addetti alla raccolta differenziata da far funzionare, ci saranno presidenti, consiglieri di amministrazione, direttori generali, direttori tecnici e consulenti vari da nominare, in quello che è stato definito il valzer napoletano sulla monnezza. Un balletto che alimenta clientele, intermediazione politica e consenso elettorale. Una delle peggiori pratiche di mal governo della classe dirigente meridionale, capace di trasformare persino il dramma dell’emergenza rifiuti, un disastro per l’immagine di Napoli nel mondo, in una sorte di ammortizzatore sociale in una città alle prese con una cronica mancanza di lavoro”[11].

C’è da chiedersi però, e non senza preoccupazione, come mai di fronte a centinaia di inchieste giornalistiche, soprattutto locali e regionali, e a puntuali denunce si sia arrivati così tardi.

C’è da domandarsi perché in questo Paese prevalga sempre e comunque “il senno del poi”, anche quando qualcuno cerca come in questo caso, “con il senno del prima”, cioè con largo anticipo, di denunciare “il patto scellerato fra camorra e politica” che aveva preso di mira qualche consorzio, di evidenziare l’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, di sottolineare illegittimità macroscopiche e abusi di ogni tipo, di lanciare l’allarme sul rischio di vedere compromessa la stessa democrazia in qualche realtà locale.

E’ il caso, per esempio, della vicenda del Consorzio dei rifiuti CE4 che interessa alcuni Comuni della provincia di Caserta. Un consorzio che è attualmente al centro di una eclatante inchiesta giudiziaria che coinvolge la politica, alcuni parlamentari, un sindaco e diversi amministratori locali, ma anche camorristi (tali o presunti o solo fiancheggiatori) e amministratori dello stesso consorzio. Per anni sulle pagine dei giornali locali e dai banchi dell’opposizione consiliare del Comune di Mondragone (il Comune “capofila” del consorzio) sono state denunciate invano le gravi anomalie di tale ente strumentale. Un consorzio che, a differenza di altri, aveva trasformato illegittimamente il proprio statuto, prevedendo l’obbligatorietà per tutti i Comuni di servirsi di esso per la totalità dei servizi ambientali (e non già per il solo smaltimento o per la raccolta differenziata), ingabbiando in questo modo gli enti locali che non hanno potuto così più scegliere ed avere alternative. Anche quando il servizio non veniva espletato, i costi erano palesemente superiori alla media e la qualità delle prestazioni evidentemente scadenti. Un consorzio che si era dotato per tempo di una società partecipata, la quale aveva di fatto assorbito l’intero scopo sociale del consorzio, esautorandolo. Una società al centro oggi dell’attenzione della magistratura per gravissimi reati, per gravi collusioni tra politica e criminalità organizzata. Una società ed un consorzio che rischiano di trascinare nella polvere non solo la politica locale e le amministrazioni locali, ma la stessa dignità di intere comunità.

Eppure, in quasi otto anni sono stati scritti su tale consorzio più di 200 articoli di denuncia sui giornali della provincia di Caserta, sono stati presentati esposti alla Procura della Repubblica, ai Prefetti e alla Corte dei Conti, sono state promosse petizioni popolari e sono state organizzate manifestazioni pubbliche. Non per contrastare l’apertura di una discarica o l’individuazione di un sito di stoccaggio. E neppure per opporsi all’ubicazione di un termovalizzatore. Ma, solo, per far rispettare la legge, per imporre la legalità, per ridare ai Consigli Comunali le proprie prerogative, per denunciare un’emergenza artatamente costruita e, soprattutto, per evidenziare l’inutilità e la pericolosità dei consorzi e per dare l’allarme – “con il senno del prima”- sui rischi di pericolose commistioni. Commistioni che hanno, oltre a quelle penali, anche altre responsabilità: da quelle amministrative di segretari comunali e dirigenti/funzionari, alquanto distratti, a quelle politiche di parlamentari, sindaci e amministratori, alla continua ed irresponsabile ricerca di consenso ad ogni costo a quelle prefettizie, con prefetti non sempre attenti ed accorti ed anzi qualche volta omissivi.

Siamo nel 2002 (ma già da qualche anno il tema era oggetto di pubblica attenzione) quando alcuni consiglieri comunali di Mondragone rivolgendosi al Prefetto di Caserta chiedevano: “Sappiamo che i Consigli Comunali che intendono costituire, per la gestione associata di uno o più servizi o per l’esercizio di funzioni, un consorzio, devono innanzitutto approvare a maggioranza assoluta dei componenti una convenzione unitamente allo statuto del consorzio. Sappiamo che gli statuti sono manifestazione della potestà autorganizzatoria dell’ente pubblico. Sappiamo che i consorzi non sono dotati di autonomia statutaria, in quanto lo statuto deve essere deliberato dai consigli degli enti partecipanti. Sappiamo che l’assemblea del consorzio non può deliberare neanche le modifiche non sostanziali dello statuto, meno che mai quelle sostanziali. Sappiamo che la procedura per le modifiche statutarie è assoggettata alle norme per la costituzione dei consorzi stessi.

Egregio Signor Prefetto, può dirci se queste considerazioni siano fondate o meno? E se lo sono, com’è potuto accadere che il nuovo statuto del Consorzio CE4 sia stato approvato dall’assemblea consortile, approvato dall’ex Coreco e arrivato nei diversi consigli comunali (e neppure in tutti), per una mera presa d’atto? Sappiamo che la capacità di un consorzio di costituire o aderire ad una società di capitali non può essere praticabile nel caso in cui alla società partecipata venga affidata la gestione della totalità o di parte significativa dei servizi pubblici assunti dal consorzio stesso.

Egregio Signor Prefetto, se quanto da noi asserito è fondato, risulta compatibile l’Eco4 con l’esistenza stessa del Consorzio? Sappiamo che le ordinanze contigibili ed urgenti non possono protrarsi nel tempo, proprio per il loro intrinseco carattere. Come è possibile allora, Signor Prefetto, che da quasi un anno il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti viene gestito mediante ordinanze sindacali che non evidenziano quali siano i motivi contigibili ed urgenti?”[12]

Quel Prefetto non ha mai risposto. Nessuno volle intervenire per bloccare sul nascere una grave situazione che ha poi portato ad arresti ed a rinvii a giudizio, ad un’indagine che sta evidenziando scenari inquietanti.

La compagnia del Consorzio CE4 ( ma forse di tutti gli altri 17 consorzi campani) è ricca di tanti attori, alcuni protagonisti, di qualche ottima “spalla”, di suggeritori e registi, di molte comparse e di tantissimi beneficiari che hanno goduto dello spettacolo.

Ed è una compagnia che ha avuto un peso rilevante nella tragedia più generale dei rifiuti campani.

Fermarsi ai soli attori protagonisti e agli atti più importanti della storia, trascurando “scene” e parti apparentemente secondarie, potrebbe sminuire il senso corale della vicenda e non apprezzare il ruolo che tanti hanno avuto in essa.

di Dario Alberto Caprio

tratto da MondOperaio n.2/2007 pagg. 19-23


[1] Il Rapporto Rifiuti 2007 dell’APAT può essere recuperato in www.apat.it

[2] Dario Alberto Caprio, Viaggio tra rifiuti e discariche del sistema Italia, in MondOperaio n. 4-5/2007.

[3] E’ il caso, per fare un esempio, dello slogan pubblicitario della compagnia aerea Ryanair che ha lanciato lo slogan: “paga le tasse! Non per i rifiuti ma per scappare via”.

3Gli atti della Commissione possono essere consultabili in www.camera.it.

4L’ufficio del riesame ha confermato la correttezza delle accuse e ha dato il via libera all’istruttoria, anche se per una serie di incredibili “circostanze” le procedure hanno avuto sin qui forti ritardi.

[6] Roberto Saviano , Imprese, politici e camorra ecco i colpevoli della peste, in La Repubblica, 5 gennaio 2008.

[7] Intervista a Linda Lanzillotta di Nicola Porro, Capitalismo comunale, regno dei partiti, in Il Giornale, 22 gennaio 2007.

[8] Unioncamere, Le società partecipate dagli enti locali, Rapporto 2007.

[9] La relazione è recuperabile in www.camera.it.

[10] La trasmissione di Milena Gabanelli può essere rivista in www.report.rai.it.

[11] Paolo Chiariello, Monnezzopoli, la grande truffa, Tullio Pironti, Napoli 2008.

[12] Dario Alberto Caprio, Eco4, gestione poco trasparente, in Il Corriere di Caserta, 6 marzo 2002

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