Lettera ad un commerciante aversano

di Redazione

Porta NapoliCaro amico, Ti scrivo questa lettera perché, l’altro giorno, mi sono trovato ad entrare, per caso, nel tuo negozio e ho visto e ascoltato cose che avrei preferito non vedere e non sentire.

Sono rimasto talmente colpito da questa visita che non posso non raccontarti quanto è successo. Prima di tutto scusami se da mesi non vengo a trovarti. Non è colpa mia. Tu sai che ho quel fastidio al ginocchio che mi tormenta da anni e mi ostacola nel camminare. Purtroppo, parcheggiare nei pressi del tuo negozio è impossibile a causa delle orrende fioriere che occupano mezza carreggiata. Se a questo aggiungi che i pochi posti disponibili sono già tutti occupati dalle auto di voi commercianti (sai ho riconosciuto il tuo bel fuoristrada), capirai le mie difficoltà. Tra l’altro, il trasporto pubblico è talmente inconsistente che dei due soli bus circolanti per Aversa, quello che passa più vicino a casa, mi costringerebbe a percorrere mezzo chilometro a piedi, per poterlo utilizzare. Troppo per il mio malandato ginocchio. Ecco perché, mio malgrado, sono costretto a rinunciare alla tua piacevole compagnia.

Dicevo, dunque, che sono entrato nel tuo negozio e ho visto e ascoltato cose poco piacevoli. Tu non c’eri. Eri andato a “prendere un caffé”. Appena entrato, la tua commessa, sola ed intenta a leggere una rivista di gossip, dopo avermi comunicato questa notizia, ha continuato nella lettura senza degnarmi più di uno sguardo. Non che pretendessi salti di gioia, ma quando entra un potenziale cliente, bisognerebbe accennare almeno ad un sorriso, seguito, quanto meno, da un saluto di cortesia. Niente di tutto questo. Accoglienza gelida. Quando, poi, timidamente, ho detto sottovoce: “Lancio solo un’occhiata”, il tono di voce della tua dipendente, con quel suo “Preeegh”, avrebbe fatto la felicità di Vittorio De Sica, che l’avrebbe di sicuro inserita in qualche suo film come caratterista “cafona”. Quella voce “molle molle e quequera”, da sola sarebbe bastata a far scappare a gambe levate anche un assetato davanti all’unico chiosco di bibite aperto in un deserto. Comunque, mio malgrado, ho proseguito nella visita. Chiedo timidamente, per non disturbare l’interessantissima lettura della giovane (il giornale era aperto su di una pagina sulla quale spiccava, mostruosamente nudo, il culo di un noto conduttore televisivo), “Alberto, quando ritorna?”. Risposta agghiacciante: “Visto che è passata più di un’ora da quando è andato a prendere il caffé, quando si deciderà a tornare sarà sempre troppo tardi”. Capirai, a queste affermazioni, pronunciate con un tono più consono alla “smargiassa” interpretata da Sofia che ad una dipendente nei confronti del suo datore di lavoro, sono rimasto sbigottito.

Dopo essermi ripreso dallo stupore, noto con estremo disagio che su tutta la merce esposta in vetrina e all’interno del negozio stesso, non c’è traccia di cartellino dei prezzi. La cosa m’infastidisce non poco. Primo, perché come frequentatore abituale di negozi “orientati al cliente”, sono abituato a leggere sul cartellino ogni tipo di notizia utile al consumatore, scritta a caratteri ben leggibili, secondo perché dovrò di nuovo rivolgere la parola a quella che ho “intuito” essere la tua “fidanzatina” russa o ucraina (non sono esperto, come te, dell’est europeo). In ogni caso, mi faccio forza e chiedo con un filo di voce: “Vorrei misurare quel modello. Calzo il numero 46”. Arriva una risposta allucinante, tenuto conto che si tratta di un negozio ubicato sulla principale strada commerciale di una città di sessantamila abitanti: “Non abbiamo scarpe di quella misura. Arriviamo a stento al 44”. Complimenti. Una buona fetta di mercato, quindi, viene, di fatto, esclusa dal tuo negozio. I giovani d’oggi, tutti più alti del metro e ottanta, cosa pensi che abbiano: il piedino di Cenerentola? La concorrenza è tanta, i prezzi sono altissimi, ci si lamenta del calo delle vendite e, poi, si rinuncia ad una buona fascia di mercato. Mah… Contento tu, contenti tutti.

Mentre mia moglie s’accinge a provare un paio di calzature, per il suo piedino taglia 36, m’accorgo che sulla scatola c’è un piccolo adesivo di carta, sul quale, scritto a penna, si legge chiaramente la cifra 0028500. Penso tra me e me: “Spero proprio che non sia il prezzo, occultato in mezzo ad una sfilza di zeri”. Non sarò esperto di calzature, per carità, ma un paio di “scarpine” simili, al massimo potrebbe costare 50 euro. Lo stile, poi, mi fa pensare ad una mente più vicina a Pechino che a Costantinopoli (intesa come strada). Purtroppo i miei sospetti sono fondati. Il prezzo è giustappunto 285,00 euro. Chiedo, in nome dell’amicizia che mi lega a te da tempo immemorabile, un piccolo sconto, anche se fosse solo simbolico, sarei contento lo stesso. Uno sconto che, tra l’atro, i negozianti più accorti concedono anche se non richiesto, proprio per accattivarsi la clientela. La risposta della tua glaciale “Responsabile delle vendite” è stata lapidaria: “No sconto. Solo prezzi fissi”. A quel punto, decido di mettere fine a questo viaggio nel mondo dei “non vendenti”. Pago, in contanti, i 285 euro, mia moglie ritira lo shopper dove, a stento, è riuscito ad entrare la scatola (sembra che da un momento all’altro il contenuto possa schizzare via, spinto dall’immane pressione…) ed esco fuori dal negozio “a riveder le stelle”.

Da lontano vedo un essere che pensavo si fosse estinto nel giurassico. Un Assistente al traffico. L’emozione di rivederne uno mi fa mancare il respiro. Poi vedo, però, che sta infilando un bigliettino sotto i tergicristalli. Oddio, la multa! Corro, sperando di fare in tempo. Per colpa del maledetto ginocchio, però, arrivo che il tipo è già entrato nel bar (a multare qualcun altro, senza ombra di dubbio). Prendo il fogliettino e, meraviglia delle meraviglie, scopro che non è una multa. Il foglietto invita i cittadini ad esporre bene in vista il grattino, altrimenti “…la prossima volta…”.

Nello stesso tempo, mia moglie lancia un grido straziante: “Nooo!”. Ha scoperto che all’interno della scarpa, c’è un talloncino, piccolissimo, con scritto sopra: “Made in China”. “…la prossima volta…”? Se aspettate me, state freschi!

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