Pestato dagli ultrà, un inferno

di Redazione

ultrasAVERSA. Un filo sottile lega Roma ad Aversa nel giorno dei funerali del giovane Gabriele Sandri, colpito a morte da un colpo partito dalla pistola di un poliziotto mentre si recava in trasferta per seguire la sua squadra del cuore, la Lazio.

A intrecciarsi, due storie unite dal comune denominatore della violenza indirettamente legata al gioco del calcio, conclusesi per fortuna con due esiti differenti. Lo sgomento che la scorsa domenica ha attraversato tutte le case italiane al diffondersi delle immagini di violenza rimbalzate dagli stadi e dalle strade del Paese, ha avuto una eco particolare in città. Tra i feriti, anche un giovane soldato aversano, Umberto Pagano, che con i suoi commilitoni era stato inviato a presidiare lo stadio Olimpico. Completamente disarmato, a mani nude, il militare dell’Esercito ha dovuto resistere all’onda d’urto dell’orda di tifosi che, in una giornata di pura follia, hanno sentito il bisogno di sfogare chissà quali frustrazioni prendendo a spunto la tragica morte di un giovane per assalire commissariati e stadi. Umberto, nel tentativo di presidiare lo stadio, è stato travolto dai pugni e dai calci degli ultras, colpi l’hanno colpito alla testa e allo stomaco. Persino l’elmetto al quale si aggrappava nella speranza di trovare un qualche riparo, si è sfaldato in due sotto i colpi di un manganello, lasciando temere il peggio. Per fortuna il soldato aversano, venticinque anni, se l’è cavata con svariate ecchimosi e un collare che dovrà tenere per un po’: il tempo di riprendersi dai colpi per ricominciare la vita di sempre, la routine alla caserma della Cecchignola, sognata fin da bambino e dove, entrato come soldato in ferma breve, è stato riconfermato con ferma temporanea di altri 4 anni. «Lo stiamo aspettando con trepidazione – commenta il cugino più giovane, Rolando Di Martino che dal blog di Azione Giovani, come presidente di Azione studentesca di Aversa, ha voluto raccontare la storia di Umberto come fosse una favola, in cui dopo il buio della paura, arriva il rassicurante lieto fine – la preoccupazione è stata grande – continua Rolando, tifoso del Napoli, tra lo sdegno per le reazioni inconsulte degli ultrà ed il sollievo di chi ha superato comunque quella brutta storia di violenza – ora dobbiamo andare avanti. Ho da sempre condiviso gli ideali di mio cugino e nutro forte ammirazione per le forze dell’ordine a cui tutti dovremmo essere grati. Non vedo l’ora di abbracciare Umberto insieme ai miei familiari». In primis la mamma, allarmata da una strana telefonata arrivata alle prime ore del giorno di lunedì: «mamma, scusa per l’orario, volevo solo avvisarti che è tutto a posto e sto bene». Poche parole che contrariamente alle solite lunghe telefonate fanno crescere la paura, ma che servono al soldato, steso su una fredda barella di ospedale, per sentire intorno a sè il calore di casa. «Aveva voglia di sentirsi ancora una volta coccolato come quando da bambino aveva paura del buio, del mostro cattivo, solo che adesso i mostri cattivi sono uomini, ragazzi come lui, arrabbiati con lui» scrive Rolando nel suo blog, per sfogarsi e condividere il dolore e la paura con gli amici che non fanno mancare la loro solidarietà. Come quella che da una famiglia liberatasi dall’angoscia per il figlio ferito mentre cercava solo di compiere il proprio dovere, arriva ad un’altra, la famiglia Sandri, lacerata dal dolore per l’assurda, inspiegabile morte di un figlio, colpevole solo di nutrire una forte passione per la sua quadra del cuore.

Il Mattino (ANNA SGUEGLIA)

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