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Querela tardiva, ginecologa assolta
CESA. «Ci attendevamo una conferma della condanna contenuta nella sentenza di primo grado, invece la Corte d’Appello ha stabilito di non doversi procedere contro la ginecologa dell’ospedale di Frattamaggiore che ha procurato a mia moglie l’invalidità mentre mio figlio è morto dopo un lungo calvario quando aveva 5 anni.
Non mi arrendo è già pronto il ricorso alla Cassazione. Non si può cancellare tutto solo per una questione burocratica», comincia così lo sfogo di Giuseppe Massa, 38 anni, militare di carriera, sposato con Maria Puca 37 anni, infermiera professionale, residenti a Cesa. I fatti risalgono a 9 anni fa. La donna viene accompagna al pronto soccorso dell’ospedale di Frattaminore. Qui dopo diverse peripezie riesce a partorire. Con quali conseguenze. Il bambino, battezzato Giovanni, «a seguito dell’asfissia intercorsa durante il parto registra una grave sindrome di paralisi cerebrale, tetraparesi spastica, epilessia, deficit neurosensoriale». La puerpera invece riporta «gravi lesioni vagino-perineali, i cui esiti cicatriziali stabilizzati comportano un indebolimento permanente dell’organo di riproduzione», come si legge nella sentenza. «Mia moglie ha avuto riconosciuto per questi danni l’invalidità», continua Massa. «Ero distrutta non capivo nulla, come facevo a pensare in quel momento a denunciare l’equipe che aveva assistito al mio parto?», dice tra le lacrime la signora Maria. «Mio figlio era un vegetale, non vedeva, ho pregato tanto, speravamo solo in un miracolo, poi quando ci siamo resi conti di quello che era accaduto abbiamo deciso di denunciare la ginecologa, non importa il nome, che mi aveva assistito nel parto», continua la donna. I coniugi avevano presentato denuncia ai carabinieri di Cesa il 4 maggio del 1999, sette mesi dopo il parto. Il giudice Eliana Albanese il 6 aprile del 2006, dopo aver acquisito agli atti la consulenza tecnica d’ufficio dei professori Giuseppe Saggese ed Umberto Ferbo, assolve l’aiuto e condanna la ginecologa che impugna la sentenza. In appello, a luglio scorso, la VI sezione della Corte di Appello del tribunale di Napoli «dichiara di non doversi procedere nei confronti dell’imputata per il reato ascritto per tardività della querela».
Il Mattino (GIUSEPPE MAIELLO)
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