Lettera ad uno schiavo moderno

di Redazione

 Caro amico, ti scrivo questa lettera con il cuore ancora gonfio di tristezza e con il sangue che, letteralmente, mi bolle nelle vene. Ti ricordi, ci siamo incontrati, dopo tanti anni, una decina di giorni fa.

Tu sei stato sempre un ragazzo brillante e pieno d’interessi ma quel giorno non ho visto nei tuoi occhi né l’entusiasmo né l’allegria che ti hanno sempre contraddistinto. Ti ricordi, mi hai raccontato di come la fortuna ti avesse aiutato a trovare un buon lavoro fisso e di come, per i casi della vita, l’avessi perso nel giro di pochi mesi.

Ora lavori in un grande magazzino. Un ambiente pieno di luci e di colori. Pieno di gente e di mercanzia. Pieno di vita, o almeno, questo è quello che pensavo prima di rincontrati. Tu, poi, mi hai spiegato qual è la dura realtà di un quarantenne, con due figli, che guadagna, quando va bene, ottocento euro il mese. Mi hai spiegato che sei stato costretto “per fame” ad accettare questo lavoro. Che lavori ininterrottamente da due anni senza che ti sia mai stato dato un giorno di ferie (escluse le due festività natalizie e le due giornate di ferragosto) e che quei pochi che si sono lamentati sono stati, per così dire, licenziati in tronco. Termine alquanto difficile da adoperare visto che, in realtà, non erano mai stati ufficialmente assunti. Mi hai raccontato di quando, troppe volte, la pausa pranzo si trasforma nel momento “giusto” per effettuare quei lavori che, all’interno del Magazzino, non si possono realizzare con il pubblico presente. Lavori mai pagati, come pure le centinaia d’ore di straordinario.

Ti prego di credermi, non immaginavo che in Italia si fosse giunti tanto in basso. Certo che della flessibilità, della precarietà e dei salari da fame ne avevo ampiamente sentito parlare, ma solo in teoria. Non mi era mai capitato di sbatterci direttamente il muso contro. Sentire che in due anni sei stato assunto “ufficialmente” solo per sei mesi, ovviamente non consecutivi, mi ha lasciato a dir poco perplesso. Sentir affermare che dopo due anni di “lavoro”, dalle 8,30 di mattino alle 21,30 di sera ti sono stati “gentilmente concessi” sette giorni di ferie (alla fine di settembre) mi ha lasciato sgomento.

Che fine hanno fatto i diritti di chi lavora? Lo Statuto dei Lavoratori, costato sangue e sudore, dove è stato seppellito? Questo “negriero”, che tra l’altro, paga seicento euro le donne e cinquecento euro gli extracomunitari perché li considera meno meritevoli, è possibile non sia mai stato visitato dall’Ispettorato del Lavoro?

Com’è possibile che un’attività che fattura decine e decine di migliaia d’euro il giorno si trasformi in una specie di “Amistad” di Spielbergheriana memoria? Minacciare di lasciare in mezzo alla strada una persona, ricattandola per anni, una volta non era considerato un reato da punire con la massima severità? Chi, negli anni cinquanta, sessanta e settanta, si è battuto affinché queste sconcezze non dovessero più avvenire dove sta attualmente? Non sarà mica diventato un dirigente sindacale bravo solo a sistemare amici e parenti? Non sarà mica passato “dall’altra parte” allettato da tanti soldini?

Poi, è mai possibile che, a tuo dire, la maggior parte dei tuoi colleghi schiavi voti proprio per le formazioni politiche che fanno della “flessibilità”, della “precarietà” e dello “sfruttamento” il loro cavallo di battaglia? Allora è proprio vero che ottenebrare la mente degli uomini con le preoccupazioni, le paure ed i problemi della vita di tutti i giorni è il miglior modo per carpirne il voto?

Caro Amico, pur non avendolo mai provato direttamente lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo l’ho sempre considerato un abominio. Pur non condividendo tutte le argomentazioni di chi, da tempo immemorabile, si adopera per cambiare questo stato di cose, posso solo prometterti che, nel mio piccolo tenterò di dargli una mano. La cosa più importante, però, è che, pur avendo la mente impegnata a pensare come risolvere i problemi quotidiani, Tu ed i tuoi colleghi vi sforziate di capire da quale parte stanno i cattivi e da quale stanno i buo… i leggermente meno cattivi!

Ciao a presto.

P.S. Eventualmente fosse stata dimenticata ricordo, a tutti, che a Roma il 27 dicembre 1947 fu firmata da Enrico De Nicola, Umberto Terracini e Alcide De Gasperi la nostra Carta Costituzionale:

Art. 1. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo…

Art. 4. La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Art. 35. La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. … Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro.

Art. 36. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.

Art. 37. La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.

Art. 38….I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso d’infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria…

Art. 41. L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

Art. 46. Ai fini dell’elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.

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