Valorizzazione degli oliveti sui Monti Tifatini

di Redazione

Maria Carmela CaiolaCASERTA. L’assessore provinciale allo Sviluppo sostenibile, Maria Carmela Caiola, in collaborazione con l’assessore alle Politiche agricole, Mimmo Dell’Aquila, ha sottoscritto la convenzione per il recupero delle colture tradizionali dei monti Tifatini (in questi giorni interessati da diversi incendi), atto che segna l’avvio del progetto proposto dalla Facoltà di Scienze Naturali della Seconda Università.

“Fra le più importanti colture – spiega l’assessore Caiola – rientrano gli oliveti, tipici del nostro paesaggio, che rischiano l’abbandono. Diverse sono le possibili strade da perseguire per salvare l’olivicoltura e recuperare il necessario reddito aziendale per la sopravvivenza e lo sviluppo del settore. Una di queste può essere rappresentata dalla coltivazione dell’asparago selvatico nell’oliveto, che si sposa perfettamente con la salvaguardia del paesaggio e dell’ambiente, visto che la coltivazione non richiede trattamenti fitosanitari né concimazioni aggiuntive”. Come coltura perenne, l’asparago può anche contribuire alla difesa dei suoli acclivi (la maggior parte degli oliveti campani) contro l’erosione. “Contrariamente ad altre regioni – dichiara l’assessore Dell’Aquila – finora l’asparago selvatico non è stato mai oggetto di analisi e di studio con finalità produttive e paesaggistiche”. Il progetto, proposto dalla Facoltà guidata dal preside Nicola Melone, mette a punto un sistema colturale per l’associazione olivo-asparago, con la costituzione di campi sperimentali dimostrativi in punti diversi dei monti Tifatini, partendo dall’Oasi di San Silvestro. Prevede inoltre iniziative di valorizzazione del prodotto e della sua tradizione e si propone come modello operativo pilota, che potrà estendersi anche ad altre filiere. In particolare potrà riguardare anche il cappero (“Capparis spinosa L.”), che ben si adatta alle caratteristiche del terreno calcareo. La pianta può raggiungere il metro di altezza e generalmente si sviluppa come coprisuolo o appesa a muri a secco o lungo le spaccature della roccia. “Nella nostra realtà, che si caratterizza anche per la presenza delle cave, questo tipo di coltura può offrirsi per il recupero paesaggistico delle pareti di cava”, conclude l’assessore Caiola.

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