Napoli, doppia inchiesta sulla morte di Antonio Scafuri: il racconto della tragica notte

di Redazione

Un ragazzo di 23 anni, Antonio Scafuri, ricoverato in codice rosso, muore dopo una lenta agonia e quattro ore di attesa per il trasferimento in un altro ospedale di Napoli. Il medico, responsabile del pronto soccorso del Loreto Mare, denuncia e afferma: “Credo che i fatti evidenzino una superficialità di comportamento ed un disprezzo per la tutela dell’utenza ancora prima dell’inosservanza ai più elementari doveri professionali. Chiedo dove mai si dovesse ravvisare una condotta omissiva di intervenire e di denunciarle alle autorità competenti”.

Ecco la sua ricostruzione dei fatti, integrata dagli ultimi sviluppi della vicenda: la doppia inchiesta, della procura e dell’Asl, e l’arrivo della task-force del ministero della salute, più il racconto drammatico del padre del ragazzo.

Il 23enne, vittima di un incidente stradale, aveva un politrauma, fratture multiple. Un ricovero in codice rosso, ma poi è rimasto per ore di attesa. Ore che, secondo quanto denunciano i medici, potrebbero essere risultate fatali. Il ragazzo il giorno dopo è morto. Il responsabile del pronto soccorso dell’ospedale Loreto Mare, Alfredo Pietroluongo. “Dopo le indagini radiografiche e Tac veniva riportato in codice rosso dove i rianimatori constatavano un progressivo peggioramento delle condizioni generali ed un progressivo calo dell’emoglobina ai valori 7. Si provvedeva a richiedere il sangue in urgenza”.

Alle ore 1.04 “avveniva il ricovero in Chirurgia con prognosi riservata ed in imminente pericolo di vita. Ciò nonostante, il paziente rimaneva in codice rosso impegnando due unità infermieristiche del Pronto Soccorso con visibile disagio per il resto delle attività dello stesso pronto soccorso mentre le anestesiste intervenute rientravano in rianimazione”.

Ore 1.45. Pietroluongo scrive che “venuto a conoscenza del fatto che il paziente era in attesa da circa due ore di essere trasportato in un altro Presidio per eseguire una angioTac e la cosa si rallentava perché non vi era accordo su quali infermieri avrebbero dovuto eseguire il trasferimento” chiede al medico che aveva in carico il 23enne “di provvedere ad accelerare i tempi dell’iter diagnostico anche perché il codice rosso era bloccato da circa quattro ore”. Il medico di turno risponde che “sapeva lui cosa doveva fare e che le cose andavano bene così”.

Nel frattempo, viene deciso chi doveva accompagnare il paziente. Ma intanto “alle ore 3.30 il padre del ragazzo quasi in lacrime, infuriato, mi veniva a chiedere cosa si stava aspettando, preoccupato delle condizioni del figlio che peggioravano”. Pietroluongo cerca di parlare con il medico che stava seguendo il caso e scoppia uno scambio di accuse. A quel punto “mi precipitavo al Pronto soccorso chiedendo che un infermiere del Pronto soccorso si offrisse volontario per l’accompagnamento e raccomandavo di far partire immediatamente l’ambulanza con rianimatore e chirurgo a bordo”. Il gruppo parte «ma senza rianimatore”.

Il 23enne arriva all’ospedale Vecchio Pellegrini: gli vengono trasfuse altre tre sacche di sangue e i medici criticano l’assenza dell’autoambulanza rianimativa, mezzo che non è stato ottenuto neanche per il ritorno al Loreto Mare dove il paziente rientra alle ore 8.30, in rianimazione dove muore.

“Mio figlio è stato ammazzato. Mentre lui moriva, al pronto soccorso litigavano per decidere chi dovesse salire sull’ambulanza che doveva portare Antonio a fare una angiotac. Vogliamo la verità: chi ha ucciso un ragazzo di 23 anni deve pagare”, accusa Raffaele Scafuri, padre di Antonio, il giovane 23enne morto, dopo quattro ore di attesa in codice rosso, nell’ospedale Loreto Mare dove era arrivato a causa delle gravi ferite riportate in un incidente stradale avvenuto a Ercolano il 16 agosto.

Il padre ricostruisce l’odissea in corsia: “Siamo arrivati al Loreto Mare attorno alle 21.30 e siamo stati subito assistiti. Poi mio figlio è stato posto su un lettino in attesa di effettuare l’esame utile a comprendere se vi fossero problemi ai vasi sanguigni. Su questo lettino è rimasto per ore, saranno state le 4 quando ho alzato la voce e solo allora medici e infermieri si sono messi d’accordo, dopo che li avevamo visti anche litigare. Intanto Antonio moriva”.

“Ci fu consentito di vedere nostro figlio dopo le 15 quando già era deceduto. Era freddo, segno che era morto da tempo. Pretendiamo la verità”, aggiunge. Secondo la denuncia resa nota dal consigliere regionale Francesco Borrelli, ha atteso quattro ore in codice rosso per un esame. E il genitore ricorda che, dopo l’angiotac, il figlio “era stato portato in Rianimazione a causa delle tante fratture”. Poi, né lui né la moglie l’hanno più visto: “Ci avevano assicurato che avremmo visto Antonio verso le 13 e che gli esiti degli esami erano favorevoli. Poi abbiamo saputo che il ragazzo era stato colto da tre infarti. Adesso pretendiamo la verità”.

Indaga la procura, ma anche i vertici dell’Asl hanno annunciato una indagine interna “per accertare eventuali omissioni o mancanze organizzative, ciò anche ai fini di responsabilità disciplinari. Massimo rigore. I familiari e i cittadini sappiano che è interesse primario del direttore generale e degli operatori della Asl, che sulla vicenda si faccia piena chiarezza, fino in fondo, senza guardare in faccia nessuno”. “Esprimo dolore, sgomento e rabbia per la morte del giovane di 23 anni nel presidio ospedaliero del Loreto Mare, in circostanze che, se confermate, sono inaccettabili e incompatibili in una organizzazione ospedaliera la cui priorità assoluta è salvare vite umane” dice il direttore generale della Asl Napoli 1, Mario Forlenza, sulla vicenda dell’attesa di 4 ore del giovane in codice rosso per un trasferimento in un altro ospedale. Aggiunge: “D’intesa anche con la Regione, per l’accertamento delle responsabilità presenterò personalmente denuncia alla Procura”.

Fare piena luce è anche l’obiettivo del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, che ha disposto l’invio di una task force per accertare quanto accaduto. Faranno parte della task force – si legge in una nota – esperti dell’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), Carabinieri del Nas e ispettori del Ministero della Salute.

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